martedì 16 ottobre 2012

La fine del Celeste non è la fine degli scandali


La fine del Celeste non è la fine degli scandali
Riforme “radicali” per abbattere il sistema

Marco CappatoPubblicato da 
il 16 ottobre 2012.
Pubblicato in gli Altri.
È già successo vent’anni fa: i partiti travolti dagli scandali, un pezzo di ceto dirigente spazzato via, arresti e proteste di piazza. Non finì bene. Il cambio di sigle e protagonisti non arginò il degrado politico-istituzionale con i suoi “prodotti”, dal debito pubblico a quello ecologico, dal collasso della giustizia al declino economico.
Che oggi possa finire peggio di vent’anni fa lo dicono il contesto e i protagonisti. Il contesto è quello di una crisi certamente più profonda di allora, sia sul piano sociale che su quello istituzionale. Sui protagonisti, basta seguire alcune storie e percorsi compiuti da allora ad oggi. Di Pietro, da pm che provocò lo scioglimento di alcuni partiti, ora deve fare i conti con i guai del proprio. E mentre Franco Fiorito racconta che a lanciar monetine a Craxi davanti al Rapaehl vent’anni fa c’era anche lui, le piazze antiformigoniane si riempiono di personalità che fino a ieri avevano convissuto con il Governatore nel ricco sistema di appalti e spartizioni, di coperture sia giudiziarie che televisive.
Proprio la parabola della Lombardia formigoniana è emblematica del processo in atto e delle alternative possibili. Come gli italiani non sanno, il Consiglio regionale della Lombardia insieme alla Giunta e al suo Presidente sono stati costituiti grazie a una truffa elettorale scoperta e denunciata dai Radicali. Sarebbe bastato che fossimo in una democrazia e in uno Stato di diritto per impedire che si tenessero elezioni illegali, come avevamo per tempo chiesto al Presidente della Repubblica, o per annullarle subito. Non siamo stati ascoltati, né da colui che dovrebbe essere supremo garante della legalità costituzionale, né dai partiti della opposizione ufficiale, i cui vertici o se ne sono disinteressati oppure, è il caso del Pd, hanno ostacolato attivamente l’azione politica e giudiziaria radicale.
A chi avesse dei dubbi sul carattere trasversale del sistema Lombardia, tra Compagnia delle opere e cooperative di ogni colore, basti ricordare che il candidato della sinistra si chiamava Penati, cioè una personalità che poteva ambire a modificare i rapporti di forza tra gruppi di potere, ma non di rappresentare un’alternativa. Ecco perché è bene oggi essere più che diffidenti di fronte alle tardive chiamate alla ribellione antiformigoniana invocata dallo stesso sindaco Pisapia: non c’è soltanto il problema di evitare che qualche giovane “Fiorito” di oggi segua percorsi simili, ma anche di impedire a un pezzo di partitocrazia di salvare se stessa buttando a mare altri pezzi, come si illuse di fare Occhetto con la “gioiosa macchina da guerra” di allora. La foto della “macchinina da guerra” di Bersani, Nencini, Vendola, con tanto di tentativo di esclusione di Verdi, Di Pietro e Radicali, non lascia ben sperare.
Oggi come allora, non esistono scorciatoie. Per fermare sia il declino economico che il degrado istituzionale sono indispensabili riforme radicali: chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici ai partiti, al Vaticano e a tutto il parastato corporativista; fare una legge elettorale che metta al centro la persona invece che i partiti; rendere capillare e sistematica l’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati; far ripartire la giustizia, con una grande amnistia legale che sconfigga l’amnistia clandestina delle prescrizioni. Queste riforme non sono all’ordine del giorno di una campagna elettorale ormai aperta, e che fin d’ora si può prevedere sarà condotta nella più assoluta illegalità: abolizione delle tribune elettorali, impossibilità di raccogliere le firme legalmente, città incartate da manifesti abusivi, rimborsi elettorali truffaldini, negazione di ogni diritto dei cittadini a conoscere per deliberare.
Le questioni sul tavolo sono tanto numerose e tanto gravi da imporre che si chiami in causa innanzitutto il ruolo di Giorgio Napolitano, non soltanto per le sue responsabilità istituzionali, ma ancora di più per quelle responsabilità politiche che, fuori e spesso contro la Costituzione, lui stesso si è attribuito come grande regista di questa fase dalla nascita del Governo Monti.
Il primo problema che il Presidente dovrebbe smettere di ignorare sono le condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per lo stato della nostra giustizia e delle nostre carceri. Finché il nostro Paese non diverrà capace di rispettare la legalità internazionale, non sarà neanche attrezzato per fare fronte alla marea di scandali con quell’unico strumento che è più forte di ogni trasformismo e di ogni epurazione: quello del rispetto della legge. Noi Radicali, come abbiamo fatto su giustizia e carceri o sulla pubblicazione dei bilanci dei Gruppi della Regione Lazio o su “Firmigoni”, continueremo a fare la nostra parte.

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