(da tellusfolio.it)
Diario di bordo
Marco Cappato. Il voto contro l'aborto è quello alla lista Bonino-Pannella A proposito dell'intervento in campagna elettorale dal Presidente della CEI Bagnasco
23 Marzo 2010 Non si può che condividere l'importanza della questione posta nel suo intervento di campagna elettorale dal Presidente della CEI Bagnasco in materia di aborto, anche se i metodi da seguire sono l'opposto di quelli che il Vaticano da decenni indica. Per ridurre il numero di aborti c'è infatti un solo
mercoledì 24 marzo 2010
martedì 23 marzo 2010
Censura in Valtellina
Fallimento Gianoncelli
L'OSSERVATORIO EUROPEO SULLA LEGALITA' E LA LISTA DI PIETRO CHIEDONO IL RISPETTO DEL SISTEMA GIUSTIZIA A SONDRIO
Pubblichiamo un interessante articolo apparso su 'l Gazetin di aprile in merito alla vicenda Gianoncelli dal titolo "Basta persecuzioni alla famiglia Gianoncelli":
L’Osservatorio europeo sulla legalità, l'Italia dei Valori e l’Associazione Insieme per la Giustizia biasimano lo stillicidio di persecuzioni perpetrate ai danni della famiglia Gianoncelli, denunciando alle istituzioni pubbliche e all’opinione pubblica l’ennesimo increscioso episodio accaduto giovedì 29 marzo, allorché l’agenzia di Sondrio del SanPaolo IMI ha coattivamente prelevato dal conto corrente di Patrizia Gianoncelli, figlia di Franco Gianoncelli, completamente estranea al fallimento, una somma di Lire 10.000.000, somma che, per effetto di diffida al predetto Istituto di credito effettuata dal curatore Dr. Marco Cottica, è stata versata nelle casse del fallimento.
Il fatto è collegato alla ben nota vicenda del rimborso del credito IRPEF che Franco Gianoncelli aveva percepito dall’INPS con la pensione di settembre, a seguito di presentazione del modello 730/2000. Le predette somme sono state pagate dall’Ufficio Postale di Sondrio, per conto dell’INPS, in parte in contanti e in parte mediante assegno circolare emesso dalla Banca Popolare di Sondrio, intestato dal cassiere delle poste nominativamente a Franco Gianocelli.Patrizia Gianoncelli presentò all’incasso l’assegno circolare (non girato) presso la sua banca di riferimento, SanPaolo IMI agenzia di Sondrio. Il controvalore dell’assegno (Lire 10.000.000) venne versato dalla predetta banca sul conto corrente di Patrizia, la quale, a sua volta, prelevò il relativo importo e lo consegnò al padre Franco.
Seguì la ben nota controversia giudiziaria, per effetto della quale i fratelli Gianoncelli furono costretti a presentare quattro ricorsi avanti il Tribunale, a fronte dei quali vennero emesse tre ordinanze, di cui due già appellate in Cassazione e una in corso di appello.Con l’ordinanza n. 1778 depositata in data 15 dicembre 2000, di rigetto della competenza attiva dei falliti del rimborso IRPEF, il Tribunale di Sondrio, chiamato espressamente a pronunciarsi, riconosceva la liceità dell’incasso da parte dei falliti ma riteneva che gli stessi avrebbero successivamente dovuto versare le somme al fallimento. In data 15 dicembre, infatti, con apposito decreto, il Giudice Delegato, Dr. Fabrizio Fanfarillo, intimava ai falliti e, quindi, anche a Gianoncelli Franco, di rifondere le somme inerenti il rimborso IRPEF entro dieci giorni, pena la denuncia alla Procura della Repubblica per reati fallimentari (bancarotta).I falliti opponevano il decreto, precisando, tra l’altro, che erano impossibilitati ad ottemperare alla richiesta, tardiva di circa quattro mesi rispetto alla data in cui tali somme erano state percepite, in quanto le stesse sono servite per la loro sopravvivenza dal momento che, di punto in bianco, con altro decreto, il Giudice Delegato, Dr. Fabrizio Fanfarillo, aveva sequestrato ipso facto, l’intera pensione a decorrere dalla rata di novembre. Seguì, come preannunciato, denuncia alla Procura della Repubblica nei confronti di Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino.
La Corte di Cassazione è ora chiamata a sciogliere il nodo della competenza del rimborso IRPEF (somme che sono state pagate personalmente dai falliti in esubero rispetto alle imposte effettivamente dovute).Per quanto riguarda il mancato adempimento all’intimazione con la quale il Giudice Delegato chiedeva di versare le somme al fallimento, sta indagando la Procura della Repubblica. Ci si aspettava che a questo punto gli organi del fallimento si dessero una calmata, in attesa che la giustizia civile (Cassazione) e penale (ipotesi di reato) potesse concludere il suo iter.E invece no. Il curatore Dr. Marco Cottica, nonostante l’ordinanza del Tribunale di Sondrio che asseriva la liceità dell’incasso, stante la Legge che regola gli assegni circolare, ha intimato all’Istituto SanPaolo IMI, agenzia di Sondrio, di indennizzare il fallimento dell’importo di Lire 10.000.000 inerente l’assegno circolare pagato a Gianoncelli Franco per tramite di Gianoncelli Patrizia. L’Istituto medesimo, ottemperando alla diffida del curatore versava al fallimento la predetta somma (che peraltro era stata dallo stesso anticipata in nome e per conto della Banca Popolare di Sondrio) prelevando il relativo importo dal conto corrente personale di Gianocelli Patrizia, mandandolo in rosso di sette milioni, addirittura due milioni oltre il fido bancario e bloccando la possibilità di prelevare tramite Bancomat.
La ragazza, di punto in bianco si è trovata senza una lira e in tale condizione rimarrà fino a quando percepirà il prossimo stipendio. Patrizia è rimasta disoccupata per otto anni. Dal mese di luglio 2000 lavorava part-time in un’impresa di pulizia e percepisce uno stipendio di circa ottocentomila lire mensili. I tre milioni che aveva sul conto corrente erano tutti i suoi risparmi.Come ha potuto il curatore intraprendere simile arbitraria iniziativa? La sentenza del Tribunale di Sondrio che sancisce la liceità dell’incasso non vale forse per entrambe le parti (falliti e fallimento?). Come possono essere stravolte le norme che regolano l'assegno circolare, titolo di credito esigibile mediante semplice esibizione all’Istituto bancario? Come poteva la Banca appropriarsi delle somme di proprietà di Gianoncelli Patrizia in assenza di atto di pignoramento presso terzi, sequestro o quant’altro? (provvedimenti, in ogni caso impugnabili).Il fatto è stato immediatamente denunciato alla Procura della Repubblica di Sondrio.La famiglia Gianoncelli non ha mai chiesto niente a nessuno. Rivendica semplicemente il diritto di poter vivere con le misere entrate che derivano dalla pensione e, per quanto riguarda Patrizia Gianoncelli, dal suo misero stipendio.
Gli scriventi organismi non sono disposti a tollerare oltre questo stillicidio di persecuzioni nei confronti di una famiglia che ha avuto il coraggio di difendere con le unghie e con i denti i propri diritti. Dal canto nostro promuoveremo iniziative pubbliche di ogni genere. Segnaleremo i fatti a tutte le istituzioni pubbliche competenti in materia. Stiamo predisponendo un articolato dossier del caso Gianoncelli, al quale daremo la più ampia diffusione possibile. Segnaleremo inoltre gli inadempimenti degli istituti di credito all’A.B.I. e ad altri Istituti di vigilanza del settore del credito. Ci costituiremo parte civile in giudizi penali, in quanto portatori di diritti diffusi e utilizzeremo eventuali risarcimenti per il pagamento di spese di giudizio per persone non abbienti.Chiediamo con forza al Presidente del Tribunale e al Procuratore della Repubblica di assumere iniziative di loro competenza per far cessare queste aberranti persecuzioni.
L'OSSERVATORIO EUROPEO SULLA LEGALITA' E LA LISTA DI PIETRO CHIEDONO IL RISPETTO DEL SISTEMA GIUSTIZIA A SONDRIO
Radicali Sondrio
radicalisondrio@gmail.com
Pubblichiamo un interessante articolo apparso su 'l Gazetin di aprile in merito alla vicenda Gianoncelli dal titolo "Basta persecuzioni alla famiglia Gianoncelli":
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L’Osservatorio europeo sulla legalità, l'Italia dei Valori e l’Associazione Insieme per la Giustizia biasimano lo stillicidio di persecuzioni perpetrate ai danni della famiglia Gianoncelli, denunciando alle istituzioni pubbliche e all’opinione pubblica l’ennesimo increscioso episodio accaduto giovedì 29 marzo, allorché l’agenzia di Sondrio del SanPaolo IMI ha coattivamente prelevato dal conto corrente di Patrizia Gianoncelli, figlia di Franco Gianoncelli, completamente estranea al fallimento, una somma di Lire 10.000.000, somma che, per effetto di diffida al predetto Istituto di credito effettuata dal curatore Dr. Marco Cottica, è stata versata nelle casse del fallimento.
Il fatto è collegato alla ben nota vicenda del rimborso del credito IRPEF che Franco Gianoncelli aveva percepito dall’INPS con la pensione di settembre, a seguito di presentazione del modello 730/2000. Le predette somme sono state pagate dall’Ufficio Postale di Sondrio, per conto dell’INPS, in parte in contanti e in parte mediante assegno circolare emesso dalla Banca Popolare di Sondrio, intestato dal cassiere delle poste nominativamente a Franco Gianocelli.Patrizia Gianoncelli presentò all’incasso l’assegno circolare (non girato) presso la sua banca di riferimento, SanPaolo IMI agenzia di Sondrio. Il controvalore dell’assegno (Lire 10.000.000) venne versato dalla predetta banca sul conto corrente di Patrizia, la quale, a sua volta, prelevò il relativo importo e lo consegnò al padre Franco.
Seguì la ben nota controversia giudiziaria, per effetto della quale i fratelli Gianoncelli furono costretti a presentare quattro ricorsi avanti il Tribunale, a fronte dei quali vennero emesse tre ordinanze, di cui due già appellate in Cassazione e una in corso di appello.Con l’ordinanza n. 1778 depositata in data 15 dicembre 2000, di rigetto della competenza attiva dei falliti del rimborso IRPEF, il Tribunale di Sondrio, chiamato espressamente a pronunciarsi, riconosceva la liceità dell’incasso da parte dei falliti ma riteneva che gli stessi avrebbero successivamente dovuto versare le somme al fallimento. In data 15 dicembre, infatti, con apposito decreto, il Giudice Delegato, Dr. Fabrizio Fanfarillo, intimava ai falliti e, quindi, anche a Gianoncelli Franco, di rifondere le somme inerenti il rimborso IRPEF entro dieci giorni, pena la denuncia alla Procura della Repubblica per reati fallimentari (bancarotta).I falliti opponevano il decreto, precisando, tra l’altro, che erano impossibilitati ad ottemperare alla richiesta, tardiva di circa quattro mesi rispetto alla data in cui tali somme erano state percepite, in quanto le stesse sono servite per la loro sopravvivenza dal momento che, di punto in bianco, con altro decreto, il Giudice Delegato, Dr. Fabrizio Fanfarillo, aveva sequestrato ipso facto, l’intera pensione a decorrere dalla rata di novembre. Seguì, come preannunciato, denuncia alla Procura della Repubblica nei confronti di Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino.
La Corte di Cassazione è ora chiamata a sciogliere il nodo della competenza del rimborso IRPEF (somme che sono state pagate personalmente dai falliti in esubero rispetto alle imposte effettivamente dovute).Per quanto riguarda il mancato adempimento all’intimazione con la quale il Giudice Delegato chiedeva di versare le somme al fallimento, sta indagando la Procura della Repubblica. Ci si aspettava che a questo punto gli organi del fallimento si dessero una calmata, in attesa che la giustizia civile (Cassazione) e penale (ipotesi di reato) potesse concludere il suo iter.E invece no. Il curatore Dr. Marco Cottica, nonostante l’ordinanza del Tribunale di Sondrio che asseriva la liceità dell’incasso, stante la Legge che regola gli assegni circolare, ha intimato all’Istituto SanPaolo IMI, agenzia di Sondrio, di indennizzare il fallimento dell’importo di Lire 10.000.000 inerente l’assegno circolare pagato a Gianoncelli Franco per tramite di Gianoncelli Patrizia. L’Istituto medesimo, ottemperando alla diffida del curatore versava al fallimento la predetta somma (che peraltro era stata dallo stesso anticipata in nome e per conto della Banca Popolare di Sondrio) prelevando il relativo importo dal conto corrente personale di Gianocelli Patrizia, mandandolo in rosso di sette milioni, addirittura due milioni oltre il fido bancario e bloccando la possibilità di prelevare tramite Bancomat.
La ragazza, di punto in bianco si è trovata senza una lira e in tale condizione rimarrà fino a quando percepirà il prossimo stipendio. Patrizia è rimasta disoccupata per otto anni. Dal mese di luglio 2000 lavorava part-time in un’impresa di pulizia e percepisce uno stipendio di circa ottocentomila lire mensili. I tre milioni che aveva sul conto corrente erano tutti i suoi risparmi.Come ha potuto il curatore intraprendere simile arbitraria iniziativa? La sentenza del Tribunale di Sondrio che sancisce la liceità dell’incasso non vale forse per entrambe le parti (falliti e fallimento?). Come possono essere stravolte le norme che regolano l'assegno circolare, titolo di credito esigibile mediante semplice esibizione all’Istituto bancario? Come poteva la Banca appropriarsi delle somme di proprietà di Gianoncelli Patrizia in assenza di atto di pignoramento presso terzi, sequestro o quant’altro? (provvedimenti, in ogni caso impugnabili).Il fatto è stato immediatamente denunciato alla Procura della Repubblica di Sondrio.La famiglia Gianoncelli non ha mai chiesto niente a nessuno. Rivendica semplicemente il diritto di poter vivere con le misere entrate che derivano dalla pensione e, per quanto riguarda Patrizia Gianoncelli, dal suo misero stipendio.
Gli scriventi organismi non sono disposti a tollerare oltre questo stillicidio di persecuzioni nei confronti di una famiglia che ha avuto il coraggio di difendere con le unghie e con i denti i propri diritti. Dal canto nostro promuoveremo iniziative pubbliche di ogni genere. Segnaleremo i fatti a tutte le istituzioni pubbliche competenti in materia. Stiamo predisponendo un articolato dossier del caso Gianoncelli, al quale daremo la più ampia diffusione possibile. Segnaleremo inoltre gli inadempimenti degli istituti di credito all’A.B.I. e ad altri Istituti di vigilanza del settore del credito. Ci costituiremo parte civile in giudizi penali, in quanto portatori di diritti diffusi e utilizzeremo eventuali risarcimenti per il pagamento di spese di giudizio per persone non abbienti.Chiediamo con forza al Presidente del Tribunale e al Procuratore della Repubblica di assumere iniziative di loro competenza per far cessare queste aberranti persecuzioni.
Vanna Mottarelli - Osservatorio europeo sulla legalità e Italia dei Valori
Stefano Bertelli - Insieme per la giustizia
Caso Gianoncelli
Legalità in Valtellina
FALLIMENTOPOLI: LA PARADIGMATICA VICENDA DELLE PENSIONI DEI GIANONCELLI
Pubblichiamo di seguito un articolo apparso sul mensile 'l Gazetin di gennaio dal titolo "Illustrissimi del tribunale, e se fossero i vostri figli?" in merito al discusso caso del fallimento Gianoncelli che vede impegnato il Tribunale di Sondrio.
Un vero e proprio accanimento, senza un attimo di tregua, contro i malcapitati di turnoCon una tempistica che riduce il rito della giustizia alla stregua di una partita a scacchi: una fredda teoria di mosse e contromosse a cura del Comitato territoriale "INSIEME PER LA GIUSTIZIA" Franco Gianoncelli, all’indomani del dibattito tenutosi alla Piastra, sul tema "Il fallimento – un dramma umano e sociale", era un uomo nuovo. Aveva ritrovato la carica. Aveva incontrato persone che non vedeva da tempo, venute da più parti della provincia di Sondrio per tributargli affetto e solidarietà. Aveva capito che nulla era cambiato nei sentimenti di coloro (clienti, fornitori, amici) che avevano avuto modo di apprezzare la sua onestà e la sua serietà professionale. Il fratello Peppino, purtroppo, non ha potuto vivere quel bel momento di gloria perché era ricoverato in ospedale, dove ha trascorso anche il giorno di Natale. A lui vanno i nostri migliori auguri per una pronta guarigione.
"Versate le pensioni ai Gianoncelli"(Francesco Saverio Cerracchio, La Provincia 19/12/2000)ma solo 12 mensilità, mi raccomando!Abbiamo appreso dalla stampa che le pensioni erano state "sbloccate", con un provvedimento del Tribunale di Sondrio, depositato nella medesima data della riunione. Tutto sembrava andare a gonfie vele. Avremmo voluto ringraziare pubblicamente il Tribunale di Sondrio, ma la nostra gioia è durata quanto i sogni della piccola fiammiferaia. Con la sentenza, notificata ai diretti interessati il 21 dicembre 2000, il Tribunale di Sondrio aveva disposto lo svincolo delle pensioni (nei limiti di cui diremo appresso) ma aveva rigettato il ricorso per quanto riguardava i crediti d’imposta, pur riconoscendo che i fratelli Gianoncelli avevano legittimamente incassato gli assegni circolari.
Il curatore, in esecuzione di tale sentenza, o meglio di un simultaneo decreto del Giudice Delegato, ha restituito ai diretti interessati le rate di pensione di novembre e dicembre, ma non anche la tredicesima mensilità e il bonus fiscale di lire 350.000 che l’erario ha rimborsato a tutti i contribuenti per effetto della riduzione delle imposte.«Scusi curatore, c’è stata una svista – disse Franco Gianoncelli – non ci sono stati restituiti gli importi della tredicesima mensilità e dello sgravio fiscale 2000».«Non c’è alcuna svista – rispose il dott. Marco Cottica – tali somme sono state acquisite al fallimento. Se avete qualcosa da ridire fate ricorso. Tanto siete abituati».Nel precedente numero avevamo riferito che, nel mese di novembre 2000, Franco e Peppino Gianoncelli avevano chiesto che il Giudice delegato lasciasse nella loro disponibilità l’intera pensione, stanti le disagiate condizioni economiche e le precarie condizioni di salute di entrambi.
La richiesta è stata presa alla lettera. Il Tribunale di Sondrio ha disposto la rifusione delle rate di pensione solamente per un importo pari a quello percepito dai falliti nel mese di ottobre. Non una lira di più. Cosa importa se nel frattempo sono lievitati i costi di gas, luce, acqua potabile, gasolio per riscaldamento? Cosa importa se con la manovra finanziaria è stato ridotto il carico fiscale, soprattutto per i contribuenti a basso reddito? A che giova che il Governo abbia in programma di aumentare le pensioni più basse perché ritenute inadeguate? Quello che vale per la generalità dei contribuenti e dei pensionati non vale per Franco e Peppino. Gli incrementi retributivi collegati all’abbattimento delle imposte, così come quelli collegati all’inflazione verranno introitati, sine die, dal fallimento.Che dire poi della mancata erogazione della tredicesima mensilità, la quale, per legge, è impignorabile, in quanto finalizzata alle spese straordinarie tipiche delle festività natalizie (regali, addobbi, pranzi, ecc).? Invece della gratifica natalizia, Franco e Peppino hanno trovato sotto l’albero (si fa per dire) un decreto, notificato il 21 dicembre 2000, con il quale il Giudice Delegato, dott. Fabrizio Fanfarillo, intimava loro di restituire, entro dieci giorni la somma inerente i crediti d’imposta, pena la denuncia alla Procura, in caso di inadempimento, per reato fallimentare (bancarotta). La storia insegna che persino i popoli in guerra, in occasione del Santo Natale, interrompono le ostilità. Ai fratelli Gianoncelli, invece , non è stato concesso un attimo di tregua. I decreti del Giudice delegato debbono essere impugnati in tre giorni (nel caso in specie entro il 24 dicembre). E così, a tamburo battente, per poter salvaguardare i propri diritti, Franco e Peppino hanno dovuto presentare il quarto ricorso, la cui discussione è in programma per il giorno otto febbraio.
La questione crediti d'impostaIl Tribunale di Sondrio, senza effettuare alcuna analisi delle dichiarazioni dei redditi prodotte dai falliti in sede di ricorso, ha stabilito che i crediti d’imposta spettassero al fallimento.
Vorremmo effettuare talune nostre considerazioni al riguardo. I crediti d’imposta, come noto a tutti i contribuenti, possono derivare dal riconoscimento da parte dell’erario di detrazioni per talune spese tassativamente elencate, quali spese funebri (a Gianoncelli Franco nel 1995 è morta la moglie), interessi su mutui ipotecari, assicurazioni sulla vita, spese mediche, chirurgiche, per acquisto di medicinali, oppure da riduzione del reddito in presenza di oneri deducibili (Franco e Peppino hanno pagato consistenti somme per contributi INPS personali prima di percepire la pensione), oppure più semplicemente da un calo drastico di reddito rispetto a quello dell’esercizio precedente e dal conseguente diritto al rimborso di acconti pagati in eccedenza rispetto alle imposte dovute.
La Società Gianoncelli ha dichiarato perdite d’impresa a far tempo dal 1991. I crediti d’imposta riscossi da Franco e Peppino a seguito della presentazione del Mod. 730/2000 derivano dal rimborso di ritenute d’acconto agli stessi prelevate dai sostituti d’imposta sulla pensione o sui compensi di amministratori, percepiti dal 1993 al 1997 e versate all’erario in misura superiore alle imposte dovute.La logica che sta alla base del rigetto del ricorso dei falliti è riconducibile al seguente concetto: «Il pagamento delle imposte compete ai falliti. Il rimborso di acconti di imposta pagati in eccesso (dai falliti a titolo personale) deve essere ripartito tra i creditori». In altri termini: «I debiti d’imposta sono vostri; se avete versato imposte di troppo chiedete il rimborso e versatelo al fallimento». Non rimane che attendere il giudizio della Corte di Cassazione, alla quale i fratelli Gianoncelli sono in procinto di proporre ricorso.Come può, in ogni caso, il Giudice Delegato ventilare il reato di bancarotta, se i fratelli Gianoncelli non verseranno entro dieci giorni le somme inerenti il rimborso imposte al fallimento?
Non va dimenticato che solo in data 21 dicembre 2000 è stato chiesto a Franco e a Peppino il versamento delle somme al fallimento e che, in base ad orientamenti giurisprudenziali consolidati, compete ai soggetti erogatori delle somme rifondere le stesse al fallimento, con diritto di rivalsa sui percettori. Il Tribunale di Sondrio, pertanto, stando agli orientamenti della Cassazione, avrebbe dovuto individuare nell’INPS il soggetto tenuto alla ripetizione delle somme inerenti i crediti d’imposta. L’Inps, a sua volta, avrebbe potuto esercitare il diritto di rivalsa nei confronti dell’Erario e quest’ultimo nei confronti dei falliti. Con i precedenti decreti, il Gd non ha mai chiesto la rifusione delle somme ma solo la consegna degli assegni circolari, ottenuti da Franco e Peppino in pagamento della pensione del mese di settembre 2000.Non solo. Con il proprio decreto del 14 novembre, il Giudice medesimo, individuava nella BPS il soggetto tenuto alla rifusione delle somme («manda al curatore di chiedere alla Banca Popolare la ripetizione delle somme pagate con gli assegni circolari»).
Con il ricorso, presentato in data 16 novembre, avverso tale decreto, Franco e Peppino chiedevano, in via principale che il Tribunale si pronunciasse favorevolmente in merito ai crediti d’imposta e, in subordine, che la ripetizione delle somme venisse chiesta, come indicato nel Decreto del Gd, alla BPS. Prontamente (20 novembre 2000), il dott. Fanfarillo emanò un decreto con cui disponeva «di soprassedere a chiedere la ripetizione delle somme degli assegni alla Banca Popolare di Sondrio». I ricorrenti, con le note dell’udienza, depositate il 7 dicembre, precisavano, producendo giurisprudenza consolidata, che, a prescindere dalla mutata decisione del Gd, i soggetti tenuti a ripetere le somme erano gli istituti di credito che avevano effettuato il pagamento, fermo restando il diritto di rivalsa di questi ultimi nei confronti dei falliti. Il Tribunale di Sondrio, in accoglimento parziale del ricorso, ha ammesso che Franco e Peppino Gianoncelli, in base alla legge sugli assegni circolari, avevano legittimamente incassato gli importi. Ci sono voluti quattro mesi e tre ricorsi prima che il Tribunale di Sondrio sancisse questo importante principio e prima che intervenisse pronuncia sulla competenza delle somme rimborsate dall’erario.
Rammentiamo che con la precedente sentenza, notificata ai falliti nel mese di novembre 2000, il Tribunale di Sondrio, senza pronunciarsi sulla competenza dei crediti d’imposta, aveva rigettato il ricorso con il quale i falliti affermavano: «L’ordinanza del Giudice Delegato è inapplicabile, in quanto al momento della sua notifica avevamo già incassato legittimamente gli assegni». Orbene, se, come ora è stato espressamente riconosciuto dal Tribunale di Sondrio, gli assegni circolari sono stati legittimamente incassati dagli intestatari e se solo ora vengono chiesti in restituzione gli importi inerenti il rimborso crediti d’imposta, significa che le somme incassate nel mese di settembre sono rimaste legittimamente nella disponibilità dei falliti, i quali hanno dovuto, peraltro, utilizzarle per sopperire alla mancata erogazione delle pensioni di novembre e dicembre, le quali, come anzi precisato, sono state dissequestrate solo in data 20 dicembre 2000.
È questa la legalità?Quanto dovranno ancora soffrire i signori Franco e Peppino Gianoncelli? Siamo veramente sicuri che tutto quanto accaduto rientri nella piena legalità? La nostra associazione ha intenzione di scoprirlo, segnalando i fatti alle autorità competenti. Il Gd impiega un attimo a stendere un decreto, con il quale può permettersi di cambiare quanto affermato con i decreti precedenti, a seconda delle linee difensive adottate dai falliti. I fratelli Gianoncelli, invece, per ogni decreto sono costretti a presentare ricorso al Tribunale e, visti gli esiti dei ricorsi precedenti, alla Corte di Cassazione, ma soprattutto, ogni azione lesiva dei loro diritti e interessi legittimi è un attentato alla salute. Peppino ne sa qualcosa.Vorremmo rivolgere una domanda a coloro che, forti del potere, fanno del male alle persone deboli e indifese: Se un giorno i vostri figli, o i figli dei vostri figli, si trovassero in difficoltà e incontrassero sul loro cammino persone come voi, ne sareste felici?
FALLIMENTOPOLI: LA PARADIGMATICA VICENDA DELLE PENSIONI DEI GIANONCELLI
Radicali Sondrio
radicalisondrio@gmail.com
Pubblichiamo di seguito un articolo apparso sul mensile 'l Gazetin di gennaio dal titolo "Illustrissimi del tribunale, e se fossero i vostri figli?" in merito al discusso caso del fallimento Gianoncelli che vede impegnato il Tribunale di Sondrio.
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Un vero e proprio accanimento, senza un attimo di tregua, contro i malcapitati di turnoCon una tempistica che riduce il rito della giustizia alla stregua di una partita a scacchi: una fredda teoria di mosse e contromosse a cura del Comitato territoriale "INSIEME PER LA GIUSTIZIA" Franco Gianoncelli, all’indomani del dibattito tenutosi alla Piastra, sul tema "Il fallimento – un dramma umano e sociale", era un uomo nuovo. Aveva ritrovato la carica. Aveva incontrato persone che non vedeva da tempo, venute da più parti della provincia di Sondrio per tributargli affetto e solidarietà. Aveva capito che nulla era cambiato nei sentimenti di coloro (clienti, fornitori, amici) che avevano avuto modo di apprezzare la sua onestà e la sua serietà professionale. Il fratello Peppino, purtroppo, non ha potuto vivere quel bel momento di gloria perché era ricoverato in ospedale, dove ha trascorso anche il giorno di Natale. A lui vanno i nostri migliori auguri per una pronta guarigione.
"Versate le pensioni ai Gianoncelli"(Francesco Saverio Cerracchio, La Provincia 19/12/2000)ma solo 12 mensilità, mi raccomando!Abbiamo appreso dalla stampa che le pensioni erano state "sbloccate", con un provvedimento del Tribunale di Sondrio, depositato nella medesima data della riunione. Tutto sembrava andare a gonfie vele. Avremmo voluto ringraziare pubblicamente il Tribunale di Sondrio, ma la nostra gioia è durata quanto i sogni della piccola fiammiferaia. Con la sentenza, notificata ai diretti interessati il 21 dicembre 2000, il Tribunale di Sondrio aveva disposto lo svincolo delle pensioni (nei limiti di cui diremo appresso) ma aveva rigettato il ricorso per quanto riguardava i crediti d’imposta, pur riconoscendo che i fratelli Gianoncelli avevano legittimamente incassato gli assegni circolari.
Il curatore, in esecuzione di tale sentenza, o meglio di un simultaneo decreto del Giudice Delegato, ha restituito ai diretti interessati le rate di pensione di novembre e dicembre, ma non anche la tredicesima mensilità e il bonus fiscale di lire 350.000 che l’erario ha rimborsato a tutti i contribuenti per effetto della riduzione delle imposte.«Scusi curatore, c’è stata una svista – disse Franco Gianoncelli – non ci sono stati restituiti gli importi della tredicesima mensilità e dello sgravio fiscale 2000».«Non c’è alcuna svista – rispose il dott. Marco Cottica – tali somme sono state acquisite al fallimento. Se avete qualcosa da ridire fate ricorso. Tanto siete abituati».Nel precedente numero avevamo riferito che, nel mese di novembre 2000, Franco e Peppino Gianoncelli avevano chiesto che il Giudice delegato lasciasse nella loro disponibilità l’intera pensione, stanti le disagiate condizioni economiche e le precarie condizioni di salute di entrambi.
La richiesta è stata presa alla lettera. Il Tribunale di Sondrio ha disposto la rifusione delle rate di pensione solamente per un importo pari a quello percepito dai falliti nel mese di ottobre. Non una lira di più. Cosa importa se nel frattempo sono lievitati i costi di gas, luce, acqua potabile, gasolio per riscaldamento? Cosa importa se con la manovra finanziaria è stato ridotto il carico fiscale, soprattutto per i contribuenti a basso reddito? A che giova che il Governo abbia in programma di aumentare le pensioni più basse perché ritenute inadeguate? Quello che vale per la generalità dei contribuenti e dei pensionati non vale per Franco e Peppino. Gli incrementi retributivi collegati all’abbattimento delle imposte, così come quelli collegati all’inflazione verranno introitati, sine die, dal fallimento.Che dire poi della mancata erogazione della tredicesima mensilità, la quale, per legge, è impignorabile, in quanto finalizzata alle spese straordinarie tipiche delle festività natalizie (regali, addobbi, pranzi, ecc).? Invece della gratifica natalizia, Franco e Peppino hanno trovato sotto l’albero (si fa per dire) un decreto, notificato il 21 dicembre 2000, con il quale il Giudice Delegato, dott. Fabrizio Fanfarillo, intimava loro di restituire, entro dieci giorni la somma inerente i crediti d’imposta, pena la denuncia alla Procura, in caso di inadempimento, per reato fallimentare (bancarotta). La storia insegna che persino i popoli in guerra, in occasione del Santo Natale, interrompono le ostilità. Ai fratelli Gianoncelli, invece , non è stato concesso un attimo di tregua. I decreti del Giudice delegato debbono essere impugnati in tre giorni (nel caso in specie entro il 24 dicembre). E così, a tamburo battente, per poter salvaguardare i propri diritti, Franco e Peppino hanno dovuto presentare il quarto ricorso, la cui discussione è in programma per il giorno otto febbraio.
La questione crediti d'impostaIl Tribunale di Sondrio, senza effettuare alcuna analisi delle dichiarazioni dei redditi prodotte dai falliti in sede di ricorso, ha stabilito che i crediti d’imposta spettassero al fallimento.
Vorremmo effettuare talune nostre considerazioni al riguardo. I crediti d’imposta, come noto a tutti i contribuenti, possono derivare dal riconoscimento da parte dell’erario di detrazioni per talune spese tassativamente elencate, quali spese funebri (a Gianoncelli Franco nel 1995 è morta la moglie), interessi su mutui ipotecari, assicurazioni sulla vita, spese mediche, chirurgiche, per acquisto di medicinali, oppure da riduzione del reddito in presenza di oneri deducibili (Franco e Peppino hanno pagato consistenti somme per contributi INPS personali prima di percepire la pensione), oppure più semplicemente da un calo drastico di reddito rispetto a quello dell’esercizio precedente e dal conseguente diritto al rimborso di acconti pagati in eccedenza rispetto alle imposte dovute.
La Società Gianoncelli ha dichiarato perdite d’impresa a far tempo dal 1991. I crediti d’imposta riscossi da Franco e Peppino a seguito della presentazione del Mod. 730/2000 derivano dal rimborso di ritenute d’acconto agli stessi prelevate dai sostituti d’imposta sulla pensione o sui compensi di amministratori, percepiti dal 1993 al 1997 e versate all’erario in misura superiore alle imposte dovute.La logica che sta alla base del rigetto del ricorso dei falliti è riconducibile al seguente concetto: «Il pagamento delle imposte compete ai falliti. Il rimborso di acconti di imposta pagati in eccesso (dai falliti a titolo personale) deve essere ripartito tra i creditori». In altri termini: «I debiti d’imposta sono vostri; se avete versato imposte di troppo chiedete il rimborso e versatelo al fallimento». Non rimane che attendere il giudizio della Corte di Cassazione, alla quale i fratelli Gianoncelli sono in procinto di proporre ricorso.Come può, in ogni caso, il Giudice Delegato ventilare il reato di bancarotta, se i fratelli Gianoncelli non verseranno entro dieci giorni le somme inerenti il rimborso imposte al fallimento?
Non va dimenticato che solo in data 21 dicembre 2000 è stato chiesto a Franco e a Peppino il versamento delle somme al fallimento e che, in base ad orientamenti giurisprudenziali consolidati, compete ai soggetti erogatori delle somme rifondere le stesse al fallimento, con diritto di rivalsa sui percettori. Il Tribunale di Sondrio, pertanto, stando agli orientamenti della Cassazione, avrebbe dovuto individuare nell’INPS il soggetto tenuto alla ripetizione delle somme inerenti i crediti d’imposta. L’Inps, a sua volta, avrebbe potuto esercitare il diritto di rivalsa nei confronti dell’Erario e quest’ultimo nei confronti dei falliti. Con i precedenti decreti, il Gd non ha mai chiesto la rifusione delle somme ma solo la consegna degli assegni circolari, ottenuti da Franco e Peppino in pagamento della pensione del mese di settembre 2000.Non solo. Con il proprio decreto del 14 novembre, il Giudice medesimo, individuava nella BPS il soggetto tenuto alla rifusione delle somme («manda al curatore di chiedere alla Banca Popolare la ripetizione delle somme pagate con gli assegni circolari»).
Con il ricorso, presentato in data 16 novembre, avverso tale decreto, Franco e Peppino chiedevano, in via principale che il Tribunale si pronunciasse favorevolmente in merito ai crediti d’imposta e, in subordine, che la ripetizione delle somme venisse chiesta, come indicato nel Decreto del Gd, alla BPS. Prontamente (20 novembre 2000), il dott. Fanfarillo emanò un decreto con cui disponeva «di soprassedere a chiedere la ripetizione delle somme degli assegni alla Banca Popolare di Sondrio». I ricorrenti, con le note dell’udienza, depositate il 7 dicembre, precisavano, producendo giurisprudenza consolidata, che, a prescindere dalla mutata decisione del Gd, i soggetti tenuti a ripetere le somme erano gli istituti di credito che avevano effettuato il pagamento, fermo restando il diritto di rivalsa di questi ultimi nei confronti dei falliti. Il Tribunale di Sondrio, in accoglimento parziale del ricorso, ha ammesso che Franco e Peppino Gianoncelli, in base alla legge sugli assegni circolari, avevano legittimamente incassato gli importi. Ci sono voluti quattro mesi e tre ricorsi prima che il Tribunale di Sondrio sancisse questo importante principio e prima che intervenisse pronuncia sulla competenza delle somme rimborsate dall’erario.
Rammentiamo che con la precedente sentenza, notificata ai falliti nel mese di novembre 2000, il Tribunale di Sondrio, senza pronunciarsi sulla competenza dei crediti d’imposta, aveva rigettato il ricorso con il quale i falliti affermavano: «L’ordinanza del Giudice Delegato è inapplicabile, in quanto al momento della sua notifica avevamo già incassato legittimamente gli assegni». Orbene, se, come ora è stato espressamente riconosciuto dal Tribunale di Sondrio, gli assegni circolari sono stati legittimamente incassati dagli intestatari e se solo ora vengono chiesti in restituzione gli importi inerenti il rimborso crediti d’imposta, significa che le somme incassate nel mese di settembre sono rimaste legittimamente nella disponibilità dei falliti, i quali hanno dovuto, peraltro, utilizzarle per sopperire alla mancata erogazione delle pensioni di novembre e dicembre, le quali, come anzi precisato, sono state dissequestrate solo in data 20 dicembre 2000.
È questa la legalità?Quanto dovranno ancora soffrire i signori Franco e Peppino Gianoncelli? Siamo veramente sicuri che tutto quanto accaduto rientri nella piena legalità? La nostra associazione ha intenzione di scoprirlo, segnalando i fatti alle autorità competenti. Il Gd impiega un attimo a stendere un decreto, con il quale può permettersi di cambiare quanto affermato con i decreti precedenti, a seconda delle linee difensive adottate dai falliti. I fratelli Gianoncelli, invece, per ogni decreto sono costretti a presentare ricorso al Tribunale e, visti gli esiti dei ricorsi precedenti, alla Corte di Cassazione, ma soprattutto, ogni azione lesiva dei loro diritti e interessi legittimi è un attentato alla salute. Peppino ne sa qualcosa.Vorremmo rivolgere una domanda a coloro che, forti del potere, fanno del male alle persone deboli e indifese: Se un giorno i vostri figli, o i figli dei vostri figli, si trovassero in difficoltà e incontrassero sul loro cammino persone come voi, ne sareste felici?
Vanna Mottarelli e Stefano Bertelli,
presidente e vice presidente di Insieme per la giustizia
Caso Gianoncelli
Per una giustizia giusta
FALLIMENTOPOLI: SVILUPPI CASO GIANONCELLI. LA VICENDA DELLE PENSIONI
Proponiamo oggi un articolo apparso sul mensile 'l Gazetin di dicembre dal titolo "Una cosa non potranno mai portarci via: la nostra dignità" relativo alla vicenda del fallimento Gianoncelli
È inaudito che nel 2000 accadano ancora simili cose. La nostra associazione (il Comitato Insieme per la Giustizia) credeva che sarebbe stato sufficiente lanciare accorati appelli al Tribunale di Sondrio, per fornire ai giudici la chiave di lettura delle intricate vicende collegate al fallimento della Società Gianoncelli. Il risultato? Franco e Peppino Gianoncelli rimarranno senza percepire una lira di pensione (nel senso letterale del termine) fino al mese, rispettivamente, di luglio 2001 e di maggio 2002. Siamo forse stati noi la causa involontaria di tanta sofferenza? Abbiamo chiesto loro scusa. Ci hanno risposto: «C’è una cosa che non potranno mai portarci via: la nostra dignità. Da soli ci saremmo annientati.
Il cammino dei fallimenti è cosparso di croci. Sono molti coloro che, non reggendo alla solitudine, si sono suicidati, si sono lasciati morire d’inedia o si sono dati all’alcool. L’Associazione ci ha dato la forza di lottare. Pur nella sventura, noi ci reputiamo fortunati perché abbiamo la solidarietà di molta gente». Sperando che il Tribunale di Sondrio possa vedere il proprio comportamento come riflesso in uno specchio, narriamo qui di seguito l’ennesima pagina amara del "dramma" dei signori Franco e Peppino Gianoncelli, a cui va tutta la nostra stima e solidarietà.
I termini della questioneLa vicenda fonda le proprie radici nella sentenza n. 6518 del mese di luglio 1998, con la quale la Corte di Cassazione, sciogliendo un nodo da tempo dibattuto in dottrina, affermava che i crediti d’imposta, come peraltro i debiti d’imposta, non soggiacciono alla legge del concorso fallimentare.Franco e Peppino Gianoncelli chiesero il rimborso di crediti d’imposta con il modello 730/2000, che vennero pagati in aggiunta alla rata di pensione del mese di settembre. Il pagamento avvenne mediante assegni circolari nominativi e non trasferibili, emessi dalla Banca Popolare di Sondrio.Peppino, all’atto dell’incasso del proprio assegno circolare, si vide opporre rifiuto agli sportelli della Banca Popolare di Sondrio, in quanto "fallito". Per evitare ulteriori umiliazioni, sebbene non fosse necessario (solo gli intestatari possono incassare gli assegni circolari non trasferibili), il fratello Franco chiese, telefonicamente, autorizzazione al curatore, il quale declinò la propria competenza al riguardo («chiedete l’autorizzazione al Giudice delegato, oppure consultate il vostro avvocato di fiducia»).
I falliti, non potendo contare sulla collaborazione del curatore, in data 7 settembre 2000, rivendicando il proprio diritto a trattenere le somme, inoltrarono segnalazione al presidente del Tribunale, al procuratore della Repubblica, al giudice delegato e al curatore per conoscenza. Contemporaneamente presentarono, altrove, gli assegni all’incasso, che andò a buon fine (non poteva essere diversamente, pena la levata del protesto).
Da quel momento seguirono nell’ordine (le frasi tra virgolette indicano, in sintesi, il contenuto dei documenti):
- richiesta del curatore datata 8 settembre: «Consegnatemi gli assegni in vostro possesso; fate domanda al giudice delegato per ottenere la restituzione delle somme o di parte di esse»;
- risposta di Franco e Peppino Gianoncelli (di seguito solo "risposta") in data 9 settembre: «Solo noi abbiamo titolo per incassare gli assegni circolari, in quanto "non trasferibili". Le somme (pensioni e rimborso IRPEF) sono di nostra esclusiva competenza»;
- primo decreto del Giudice delegato, datato 11 settembre, notificato il 22 settembre 2000: «Regolarizzate con marca da bollo la segnalazione del 7 settembre. Si rigetta. Qualora inoltrerete istanza documentata potrei modificare la mia decisione».
Risposta in data 23 settembre: «La nostra lettera del 7 settembre era una semplice segnalazione. Non comprendiamo il motivo del rigetto, dal momento che non abbiamo chiesto niente»;
- secondo decreto del Gd, datato 19 settembre, notificato in data 25 settembre: «Consegnate al curatore gli assegni in vostro possesso, i quali contengono rate di pensione di competenza vostra e crediti d’imposta di competenza del fallimento. Qualora inoltrerete domanda, con indicazione dell’importo delle pensioni, disporrò la restituzione di tale importo»;
- ricorso avverso il decreto del 19 settembre: «Abbiamo provveduto da circa venti giorni all’incasso degli assegni circolari, in quanto diversamente non potevamo sbarcare il lunario. Sotto il profilo giuridico ribadiamo che i crediti d’imposta sono di nostra competenza»;
- costituzione in giudizio del curatore: «Non ero a conoscenza che i falliti percepissero la pensione»;
- note dell’udienza in replica alla costituzione in giudizio: «Il curatore non può ignorare che siamo titolari di pensione, in quanto esamina tutta la nostra corrispondenza e ha consegnato egli stesso il libretto a Peppino Gianoncelli. Il decreto del Gd è, in ogni caso, inattuabile perché abbiamo già incassato gli assegni circolari»;
- udienza del 19 ottobre 2000: «Il Tribunale si riserva la decisione»;
- terzo decreto del Gd, datato 21 ottobre (emesso in pendenza di giudizio): «Le rate di pensione vengono acquisite al fallimento a far tempo dal mese di novembre; il curatore dovrà chiedere alla Banca Popolare di Sondrio la ripetizione delle somme degli assegni circolari. Se mi inoltrerete apposita domanda, determinerò le somme necessarie al vostro mantenimento».
Ricorso avverso il terzo decreto Gd: «Il decreto del 21 ottobre è in contrasto con quello del 19 settembre, con il quale il Gd riconosceva espressamente che le pensioni sono di nostra competenza. Il Tribunale non si è ancora pronunciato sulla competenza dei crediti d’imposta». (La discussione avverrà il 7 dicembre, a giornale in stampa);
- domanda documentata dei falliti per ottenere lo svincolo delle quote di pensione: «La pensione è a malapena sufficienti per vivere e, inoltre, siamo entrambi ammalati cronici»;
- rigetto del primo ricorso (nessuna pronuncia in ordine alla competenza dei crediti d’imposta): «I falliti non hanno indicato l’entità de gli importi percepiti e non hanno provato che gli stessi fossero inerenti a pensioni e a crediti d’imposta»;
- quarto decreto del Gd, notificato in data 15 novembre 2000: «Confermo integralmente il decreto del 21 ottobre. Per il vostro mantenimento sarebbe sufficiente un importo pari al minimo di pensione (circa 700.000 lire), ma, visto che avete documentato di essere ammalati, sebbene non in forma grave, vi assegno l’intera pensione. Tuttavia, visto che avete incassato l’importo dei crediti d’imposta, vi pignoro le pensioni fino a completo assorbimento, ovvero fino al luglio 2001, per quanto riguarda la pensione di Franco Gianoncelli e fino al maggio 2002 per quanto concerne la pensione di Peppino Gianoncelli»;
- ricorso avverso il quarto decreto del Gd: «Il pignoramento delle pensioni è una duplicazione di somme, già chieste dal Gd, con il decreto del 21 ottobre, alla BPS. La sentenza di rigetto del ricorso avverso il decreto del 19 settembre non fa alcuna menzione della competenza dei crediti d’imposta. L’articolo 545 del Codice di Procedura Civile fa divieto di pignorare, per recupero crediti, più di un quinto della pensione». (Anche questa discussione avverrà il 7 dicembre 2000).
Il Curatore, dott. Marco Cottica, sul settimanale Centro valle di domenica 12 novembre 2000, fornì quella che, a suo avviso, era l’interpretazione giuridica dei fatti. Tale interpretazione non rende onore alla verità. È necessario fare chiarezza e inquadrare i fatti, nella loro giusta luce.Nessuna norma della legge fallimentare stabilisce che i falliti debbano inoltrare domanda per trattenere somme da loro percepite alla piena luce del sole. Del resto, se così non fosse, per quale motivo i falliti vengono sottoposti all’umiliante procedura del controllo "a vista" e del vaglio della corrispondenza personale? A che cosa serve la figura del curatore? Gli organi del fallimento pretendevano forse che i falliti dicessero: «Dal controllo della corrispondenza vi è, per caso, sfuggito che noi percepiamo la pensione? Possiamo tenercela?»Il Giudice delegato al fallimento, dott. Fabrizio Fanfarillo, con il decreto del 19 settembre 2000, da un lato, reclamava i crediti d’imposta e, dall’altro, ammetteva (letteralmente) che le rate di pensione (quindi la titolarità della pensione era fatto noto) erano di competenza dei falliti.
Il mese successivo (21 ottobre 2000), il medesimo, contraddicendo la propria precedente decisione, disponeva l’acquisizione delle pensioni future all’attivo del fallimento, invitando i falliti a inoltrare domanda per ottenere la rifusione delle somme strettamente necessarie per vivere. Le pensioni, entro i limiti necessari al mantenimento, ai sensi dell’articolo 46 della legge fallimentare, non rientrano tra i beni soggetti al fallimento (quindi non possono essere toccate). Il Gd, pertanto, a norma di legge, avrebbe potuto chiedere le sole somme che, a suo avviso, superavano i predetti limiti. Qualcuno potrebbe pensare, vista la foga con cui si invocano gli interessi dei creditori, che Franco e Peppino siano titolari di "pensioni d’oro". Sgombriamo il campo da qualsiasi dubbio: i predetti percepiscono mensilmente, rispettivamente, circa lire 1.300.000 e circa lire 1.100.000. Le cifre si commentano da sole.
«Oh bella! Percepiscono anche la pensione?»Il caso è complesso e pone parecchi interrogativi. Perché il problema delle pensioni si pone a ben tre anni dal fallimento?
Qual è stata la molla che ha indotto il Gd a cambiare rotta? Per quale motivo non ha chiesto gli assegni con il decreto dell'11 settembre? Perché, invece di chiedere gli assegni, non è stata chiesta la documentazione delle somme percepite? Come mai, in data 22 settembre, è stato notificato solo il decreto dell'11 settembre e non anche quello del 19 settembre, sebbene già emesso? Che cosa è accaduto di tanto grave dal 19 settembre 2000 al 21 ottobre 2000? È presto detto: le risposte dei signori Gianoncelli (legittima difesa) hanno determinato un crescendo di provvedimenti drastici. Pure il ricorso avverso il decreto del Gd era scomodo, in quanto i falliti chiedevano una pronuncia di diritto: Di chi è la competenza dei crediti d’imposta? Quale miglior mezzo di quello dell’inammissibilità del ricorso per bypassare l’ostacolo? I decreti di fissazione udienza del primo e del terzo ricorso, da notificare al curatore, a cura dei falliti, rispettivamente entro il 12 ottobre ed entro il 30 novembre, sono stati notificati ai falliti (il primo rigorosamente per posta) l’11 ottobre pomeriggio e il 29 novembre in tarda mattinata. I ricorrenti, nonostante i tempi bruciati, assicurarono gli adempimenti in tempo utile, scongiurando così l'inammissibilità dei ricorsi.Il dott. Marco Cottica, con la propria costituzione in giudizio al primo ricorso, ha lanciato ogni sorta di invettive affermando, in primis, di non conoscere la condizione di pensionati di Franco e Peppino. (Di cosa pensava vivessero?) La memoria del curatore lasciava presagire quello che sarebbe stato l’epilogo della vicenda. Sia al curatore che ai ricorrenti venne assegnato termine, per memorie, fino al 15 ottobre (domenica).
Tutto pareva preordinato. Ai falliti, che prima del giorno 16 ottobre non avrebbero potuto prendere visione della memoria del curatore, non rimaneva che replicare con le note dell’udienza, equivalenti a dichiarazioni a verbale. Il curatore eccepiva la tardività delle repliche, le quali, a suo avviso, avrebbero dovuto essere depositate entro domenica 15 ottobre (ovvero prima di poter prendere visione della sua memoria). Il Tribunale di Sondrio, quasi volesse ignorare la sentenza della Cassazione, ha rigettato il ricorso senza pronunciarsi sulla competenza dei crediti d’imposta. L’organo giudicante si è limitato a eccepire che i ricorrenti non hanno indicato gli importi degli assegni (nessuna informazione in tal senso è stata loro chiesta) e che non hanno dimostrato che le somme incassate fossero realmente crediti d’imposta (Il Gd ha preso alla lettera la comunicazione dei falliti per emettere il proprio decreto). Il Tribunale, al contrario, andando oltre il dettato del decreto («consegnate gli assegni in vostro possesso»), ha rigettato il ricorso senza manco aprire una fase istruttoria e senza dare per lette le note dell’udienza (quasi a dire: subite e state zitti!). Le note dell’udienza, tuttavia, sono state consegnate al curatore, il quale, forse punto nel vivo dal loro contenuto, le ha inoltrate al Gd, per gli opportuni provvedimenti. E così, prima ancora che il Tribunale si pronunciasse in merito al ricorso, il Gd ha emesso un nuovo decreto, rincarando la dose (acquisizione delle pensioni all’attivo del fallimento a far tempo dal mese di novembre). E pensare che critichiamo tanto i processi "alla bulgara"!!! Franco e Peppino, inginocchiandosi al volere del Gd (violando persino la privacy dei loro familiari non falliti), inoltrarono domanda intesa a ottenere che l’intera pensione percepita rimanesse, come per il passato, nella loro piena disponibilità. Alla domanda allegarono, oltre alle pezze giustificative di spese ripetitive, la prova che erano entrambi ammalati in modo irreversibile (il primo in poco tempo ha subito due interventi chirurgici e il secondo soffre di patologia cronica).
L'interesse dei creditori…Il Giudice delegato con l’ultimo decreto (il quarto in ordine di tempo), affermando che avrebbe potuto essere sufficiente per il mantenimento una somma pari al minimo di pensione (lire 700.000) ma che avendo documentato i falliti di essere ammalati, sebbene in modo non molto grave (sic!!!), lasciava loro la disponibilità dell’intera pensione ma (troppo bello per essere vero!) visto che, a suo dire, i falliti si erano appropriati di somme di competenza del fallimento (crediti d’imposta, sulla cui competenza il Tribunale di Sondrio non si è ancora pronunciato), fino all’assorbimento di tali somme (pagate dai falliti in anticipo al fisco e dallo stesso rifuse) gli stessi non percepiranno una lira di pensione fino al luglio 2001 (Franco) e al maggio 2002 (Peppino). Le pensioni dei fratelli Gianoncelli inerenti tali periodi verranno introitate dal Fallimento (a vantaggio dei creditori, si legge nelle precisazioni del curatore).
Vogliamo parlare del tanto decantato interesse dei creditori? Il fallimento, dopo aver smantellato l’attività, gli automezzi e le attrezzature, ha distribuito meno di quanto avrebbe potuto distribuire la società con i soli crediti esigibili entro il mese di dicembre 1997 se non fosse fallita (circa 115 milioni). A tre anni dalla dichiarazione di fallimento sono stati distribuiti ai creditori lire 70 milioni (per trattamento di fine rapporto, somme che la società avrebbe dovuto pagare solo al termine del rapporto di lavoro dipendente, ovvero dopo molti anni se l'azienda fosse rimasta in attività) a fronte di circa 160 milioni di incassi (lire 90 milioni sono stati spesi per costi di procedura). Il negozio al dettaglio, in piena attività, è stato smantellato e venduto con un ricavo, al netto dei costi di procedura, di circa lire 5 milioni. Gli immobili sono stati messi all’asta "tentando" un primo esperimento, andato deserto, e "ritentando", con ribasso di oltre 200 milioni (circa 10 anni di pensione di entrambi i fratelli Gianoncelli!) un secondo esperimento, pure andato deserto.
È lecito presumere che possa esservi un terzo tentativo, con un ulteriore ribasso di 200 milioni, e così via. Che dire poi del fatto che è stata preclusa la possibilità di affittare gli immobili alla signora Moretti (90 anni, madre dei falliti), causando alla stessa un danno stimato a tutt’oggi in lire 110 milioni (che prima o poi dovrà essere risarcito) e altrettanto al fallimento per mancato introito? (cfr. 'l Gazetin, settembre 2000)Concludiamo qui, sebbene l’elenco sia ancora lungo. Togliere il pane di bocca a Franco e Peppino non serve certamente a sollevare le sorti del fallimento. C’è ancora qualcuno che alla luce dei fatti qui narrati pensi che il sequestro della pensione possa giovare in qualche modo ai creditori? È inaudito che nel 2000 accadano ancora simili cose. Eppure il Medio Evo è passato da un pezzo. Persino la conquista della luna è già preistoria.
FALLIMENTOPOLI: SVILUPPI CASO GIANONCELLI. LA VICENDA DELLE PENSIONI
Radicali Sondrio
radicalisondrio@gmail.com
Proponiamo oggi un articolo apparso sul mensile 'l Gazetin di dicembre dal titolo "Una cosa non potranno mai portarci via: la nostra dignità" relativo alla vicenda del fallimento Gianoncelli
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È inaudito che nel 2000 accadano ancora simili cose. La nostra associazione (il Comitato Insieme per la Giustizia) credeva che sarebbe stato sufficiente lanciare accorati appelli al Tribunale di Sondrio, per fornire ai giudici la chiave di lettura delle intricate vicende collegate al fallimento della Società Gianoncelli. Il risultato? Franco e Peppino Gianoncelli rimarranno senza percepire una lira di pensione (nel senso letterale del termine) fino al mese, rispettivamente, di luglio 2001 e di maggio 2002. Siamo forse stati noi la causa involontaria di tanta sofferenza? Abbiamo chiesto loro scusa. Ci hanno risposto: «C’è una cosa che non potranno mai portarci via: la nostra dignità. Da soli ci saremmo annientati.
Il cammino dei fallimenti è cosparso di croci. Sono molti coloro che, non reggendo alla solitudine, si sono suicidati, si sono lasciati morire d’inedia o si sono dati all’alcool. L’Associazione ci ha dato la forza di lottare. Pur nella sventura, noi ci reputiamo fortunati perché abbiamo la solidarietà di molta gente». Sperando che il Tribunale di Sondrio possa vedere il proprio comportamento come riflesso in uno specchio, narriamo qui di seguito l’ennesima pagina amara del "dramma" dei signori Franco e Peppino Gianoncelli, a cui va tutta la nostra stima e solidarietà.
I termini della questioneLa vicenda fonda le proprie radici nella sentenza n. 6518 del mese di luglio 1998, con la quale la Corte di Cassazione, sciogliendo un nodo da tempo dibattuto in dottrina, affermava che i crediti d’imposta, come peraltro i debiti d’imposta, non soggiacciono alla legge del concorso fallimentare.Franco e Peppino Gianoncelli chiesero il rimborso di crediti d’imposta con il modello 730/2000, che vennero pagati in aggiunta alla rata di pensione del mese di settembre. Il pagamento avvenne mediante assegni circolari nominativi e non trasferibili, emessi dalla Banca Popolare di Sondrio.Peppino, all’atto dell’incasso del proprio assegno circolare, si vide opporre rifiuto agli sportelli della Banca Popolare di Sondrio, in quanto "fallito". Per evitare ulteriori umiliazioni, sebbene non fosse necessario (solo gli intestatari possono incassare gli assegni circolari non trasferibili), il fratello Franco chiese, telefonicamente, autorizzazione al curatore, il quale declinò la propria competenza al riguardo («chiedete l’autorizzazione al Giudice delegato, oppure consultate il vostro avvocato di fiducia»).
I falliti, non potendo contare sulla collaborazione del curatore, in data 7 settembre 2000, rivendicando il proprio diritto a trattenere le somme, inoltrarono segnalazione al presidente del Tribunale, al procuratore della Repubblica, al giudice delegato e al curatore per conoscenza. Contemporaneamente presentarono, altrove, gli assegni all’incasso, che andò a buon fine (non poteva essere diversamente, pena la levata del protesto).
Da quel momento seguirono nell’ordine (le frasi tra virgolette indicano, in sintesi, il contenuto dei documenti):
- richiesta del curatore datata 8 settembre: «Consegnatemi gli assegni in vostro possesso; fate domanda al giudice delegato per ottenere la restituzione delle somme o di parte di esse»;
- risposta di Franco e Peppino Gianoncelli (di seguito solo "risposta") in data 9 settembre: «Solo noi abbiamo titolo per incassare gli assegni circolari, in quanto "non trasferibili". Le somme (pensioni e rimborso IRPEF) sono di nostra esclusiva competenza»;
- primo decreto del Giudice delegato, datato 11 settembre, notificato il 22 settembre 2000: «Regolarizzate con marca da bollo la segnalazione del 7 settembre. Si rigetta. Qualora inoltrerete istanza documentata potrei modificare la mia decisione».
Risposta in data 23 settembre: «La nostra lettera del 7 settembre era una semplice segnalazione. Non comprendiamo il motivo del rigetto, dal momento che non abbiamo chiesto niente»;
- secondo decreto del Gd, datato 19 settembre, notificato in data 25 settembre: «Consegnate al curatore gli assegni in vostro possesso, i quali contengono rate di pensione di competenza vostra e crediti d’imposta di competenza del fallimento. Qualora inoltrerete domanda, con indicazione dell’importo delle pensioni, disporrò la restituzione di tale importo»;
- ricorso avverso il decreto del 19 settembre: «Abbiamo provveduto da circa venti giorni all’incasso degli assegni circolari, in quanto diversamente non potevamo sbarcare il lunario. Sotto il profilo giuridico ribadiamo che i crediti d’imposta sono di nostra competenza»;
- costituzione in giudizio del curatore: «Non ero a conoscenza che i falliti percepissero la pensione»;
- note dell’udienza in replica alla costituzione in giudizio: «Il curatore non può ignorare che siamo titolari di pensione, in quanto esamina tutta la nostra corrispondenza e ha consegnato egli stesso il libretto a Peppino Gianoncelli. Il decreto del Gd è, in ogni caso, inattuabile perché abbiamo già incassato gli assegni circolari»;
- udienza del 19 ottobre 2000: «Il Tribunale si riserva la decisione»;
- terzo decreto del Gd, datato 21 ottobre (emesso in pendenza di giudizio): «Le rate di pensione vengono acquisite al fallimento a far tempo dal mese di novembre; il curatore dovrà chiedere alla Banca Popolare di Sondrio la ripetizione delle somme degli assegni circolari. Se mi inoltrerete apposita domanda, determinerò le somme necessarie al vostro mantenimento».
Ricorso avverso il terzo decreto Gd: «Il decreto del 21 ottobre è in contrasto con quello del 19 settembre, con il quale il Gd riconosceva espressamente che le pensioni sono di nostra competenza. Il Tribunale non si è ancora pronunciato sulla competenza dei crediti d’imposta». (La discussione avverrà il 7 dicembre, a giornale in stampa);
- domanda documentata dei falliti per ottenere lo svincolo delle quote di pensione: «La pensione è a malapena sufficienti per vivere e, inoltre, siamo entrambi ammalati cronici»;
- rigetto del primo ricorso (nessuna pronuncia in ordine alla competenza dei crediti d’imposta): «I falliti non hanno indicato l’entità de gli importi percepiti e non hanno provato che gli stessi fossero inerenti a pensioni e a crediti d’imposta»;
- quarto decreto del Gd, notificato in data 15 novembre 2000: «Confermo integralmente il decreto del 21 ottobre. Per il vostro mantenimento sarebbe sufficiente un importo pari al minimo di pensione (circa 700.000 lire), ma, visto che avete documentato di essere ammalati, sebbene non in forma grave, vi assegno l’intera pensione. Tuttavia, visto che avete incassato l’importo dei crediti d’imposta, vi pignoro le pensioni fino a completo assorbimento, ovvero fino al luglio 2001, per quanto riguarda la pensione di Franco Gianoncelli e fino al maggio 2002 per quanto concerne la pensione di Peppino Gianoncelli»;
- ricorso avverso il quarto decreto del Gd: «Il pignoramento delle pensioni è una duplicazione di somme, già chieste dal Gd, con il decreto del 21 ottobre, alla BPS. La sentenza di rigetto del ricorso avverso il decreto del 19 settembre non fa alcuna menzione della competenza dei crediti d’imposta. L’articolo 545 del Codice di Procedura Civile fa divieto di pignorare, per recupero crediti, più di un quinto della pensione». (Anche questa discussione avverrà il 7 dicembre 2000).
Il Curatore, dott. Marco Cottica, sul settimanale Centro valle di domenica 12 novembre 2000, fornì quella che, a suo avviso, era l’interpretazione giuridica dei fatti. Tale interpretazione non rende onore alla verità. È necessario fare chiarezza e inquadrare i fatti, nella loro giusta luce.Nessuna norma della legge fallimentare stabilisce che i falliti debbano inoltrare domanda per trattenere somme da loro percepite alla piena luce del sole. Del resto, se così non fosse, per quale motivo i falliti vengono sottoposti all’umiliante procedura del controllo "a vista" e del vaglio della corrispondenza personale? A che cosa serve la figura del curatore? Gli organi del fallimento pretendevano forse che i falliti dicessero: «Dal controllo della corrispondenza vi è, per caso, sfuggito che noi percepiamo la pensione? Possiamo tenercela?»Il Giudice delegato al fallimento, dott. Fabrizio Fanfarillo, con il decreto del 19 settembre 2000, da un lato, reclamava i crediti d’imposta e, dall’altro, ammetteva (letteralmente) che le rate di pensione (quindi la titolarità della pensione era fatto noto) erano di competenza dei falliti.
Il mese successivo (21 ottobre 2000), il medesimo, contraddicendo la propria precedente decisione, disponeva l’acquisizione delle pensioni future all’attivo del fallimento, invitando i falliti a inoltrare domanda per ottenere la rifusione delle somme strettamente necessarie per vivere. Le pensioni, entro i limiti necessari al mantenimento, ai sensi dell’articolo 46 della legge fallimentare, non rientrano tra i beni soggetti al fallimento (quindi non possono essere toccate). Il Gd, pertanto, a norma di legge, avrebbe potuto chiedere le sole somme che, a suo avviso, superavano i predetti limiti. Qualcuno potrebbe pensare, vista la foga con cui si invocano gli interessi dei creditori, che Franco e Peppino siano titolari di "pensioni d’oro". Sgombriamo il campo da qualsiasi dubbio: i predetti percepiscono mensilmente, rispettivamente, circa lire 1.300.000 e circa lire 1.100.000. Le cifre si commentano da sole.
«Oh bella! Percepiscono anche la pensione?»Il caso è complesso e pone parecchi interrogativi. Perché il problema delle pensioni si pone a ben tre anni dal fallimento?
Qual è stata la molla che ha indotto il Gd a cambiare rotta? Per quale motivo non ha chiesto gli assegni con il decreto dell'11 settembre? Perché, invece di chiedere gli assegni, non è stata chiesta la documentazione delle somme percepite? Come mai, in data 22 settembre, è stato notificato solo il decreto dell'11 settembre e non anche quello del 19 settembre, sebbene già emesso? Che cosa è accaduto di tanto grave dal 19 settembre 2000 al 21 ottobre 2000? È presto detto: le risposte dei signori Gianoncelli (legittima difesa) hanno determinato un crescendo di provvedimenti drastici. Pure il ricorso avverso il decreto del Gd era scomodo, in quanto i falliti chiedevano una pronuncia di diritto: Di chi è la competenza dei crediti d’imposta? Quale miglior mezzo di quello dell’inammissibilità del ricorso per bypassare l’ostacolo? I decreti di fissazione udienza del primo e del terzo ricorso, da notificare al curatore, a cura dei falliti, rispettivamente entro il 12 ottobre ed entro il 30 novembre, sono stati notificati ai falliti (il primo rigorosamente per posta) l’11 ottobre pomeriggio e il 29 novembre in tarda mattinata. I ricorrenti, nonostante i tempi bruciati, assicurarono gli adempimenti in tempo utile, scongiurando così l'inammissibilità dei ricorsi.Il dott. Marco Cottica, con la propria costituzione in giudizio al primo ricorso, ha lanciato ogni sorta di invettive affermando, in primis, di non conoscere la condizione di pensionati di Franco e Peppino. (Di cosa pensava vivessero?) La memoria del curatore lasciava presagire quello che sarebbe stato l’epilogo della vicenda. Sia al curatore che ai ricorrenti venne assegnato termine, per memorie, fino al 15 ottobre (domenica).
Tutto pareva preordinato. Ai falliti, che prima del giorno 16 ottobre non avrebbero potuto prendere visione della memoria del curatore, non rimaneva che replicare con le note dell’udienza, equivalenti a dichiarazioni a verbale. Il curatore eccepiva la tardività delle repliche, le quali, a suo avviso, avrebbero dovuto essere depositate entro domenica 15 ottobre (ovvero prima di poter prendere visione della sua memoria). Il Tribunale di Sondrio, quasi volesse ignorare la sentenza della Cassazione, ha rigettato il ricorso senza pronunciarsi sulla competenza dei crediti d’imposta. L’organo giudicante si è limitato a eccepire che i ricorrenti non hanno indicato gli importi degli assegni (nessuna informazione in tal senso è stata loro chiesta) e che non hanno dimostrato che le somme incassate fossero realmente crediti d’imposta (Il Gd ha preso alla lettera la comunicazione dei falliti per emettere il proprio decreto). Il Tribunale, al contrario, andando oltre il dettato del decreto («consegnate gli assegni in vostro possesso»), ha rigettato il ricorso senza manco aprire una fase istruttoria e senza dare per lette le note dell’udienza (quasi a dire: subite e state zitti!). Le note dell’udienza, tuttavia, sono state consegnate al curatore, il quale, forse punto nel vivo dal loro contenuto, le ha inoltrate al Gd, per gli opportuni provvedimenti. E così, prima ancora che il Tribunale si pronunciasse in merito al ricorso, il Gd ha emesso un nuovo decreto, rincarando la dose (acquisizione delle pensioni all’attivo del fallimento a far tempo dal mese di novembre). E pensare che critichiamo tanto i processi "alla bulgara"!!! Franco e Peppino, inginocchiandosi al volere del Gd (violando persino la privacy dei loro familiari non falliti), inoltrarono domanda intesa a ottenere che l’intera pensione percepita rimanesse, come per il passato, nella loro piena disponibilità. Alla domanda allegarono, oltre alle pezze giustificative di spese ripetitive, la prova che erano entrambi ammalati in modo irreversibile (il primo in poco tempo ha subito due interventi chirurgici e il secondo soffre di patologia cronica).
L'interesse dei creditori…Il Giudice delegato con l’ultimo decreto (il quarto in ordine di tempo), affermando che avrebbe potuto essere sufficiente per il mantenimento una somma pari al minimo di pensione (lire 700.000) ma che avendo documentato i falliti di essere ammalati, sebbene in modo non molto grave (sic!!!), lasciava loro la disponibilità dell’intera pensione ma (troppo bello per essere vero!) visto che, a suo dire, i falliti si erano appropriati di somme di competenza del fallimento (crediti d’imposta, sulla cui competenza il Tribunale di Sondrio non si è ancora pronunciato), fino all’assorbimento di tali somme (pagate dai falliti in anticipo al fisco e dallo stesso rifuse) gli stessi non percepiranno una lira di pensione fino al luglio 2001 (Franco) e al maggio 2002 (Peppino). Le pensioni dei fratelli Gianoncelli inerenti tali periodi verranno introitate dal Fallimento (a vantaggio dei creditori, si legge nelle precisazioni del curatore).
Vogliamo parlare del tanto decantato interesse dei creditori? Il fallimento, dopo aver smantellato l’attività, gli automezzi e le attrezzature, ha distribuito meno di quanto avrebbe potuto distribuire la società con i soli crediti esigibili entro il mese di dicembre 1997 se non fosse fallita (circa 115 milioni). A tre anni dalla dichiarazione di fallimento sono stati distribuiti ai creditori lire 70 milioni (per trattamento di fine rapporto, somme che la società avrebbe dovuto pagare solo al termine del rapporto di lavoro dipendente, ovvero dopo molti anni se l'azienda fosse rimasta in attività) a fronte di circa 160 milioni di incassi (lire 90 milioni sono stati spesi per costi di procedura). Il negozio al dettaglio, in piena attività, è stato smantellato e venduto con un ricavo, al netto dei costi di procedura, di circa lire 5 milioni. Gli immobili sono stati messi all’asta "tentando" un primo esperimento, andato deserto, e "ritentando", con ribasso di oltre 200 milioni (circa 10 anni di pensione di entrambi i fratelli Gianoncelli!) un secondo esperimento, pure andato deserto.
È lecito presumere che possa esservi un terzo tentativo, con un ulteriore ribasso di 200 milioni, e così via. Che dire poi del fatto che è stata preclusa la possibilità di affittare gli immobili alla signora Moretti (90 anni, madre dei falliti), causando alla stessa un danno stimato a tutt’oggi in lire 110 milioni (che prima o poi dovrà essere risarcito) e altrettanto al fallimento per mancato introito? (cfr. 'l Gazetin, settembre 2000)Concludiamo qui, sebbene l’elenco sia ancora lungo. Togliere il pane di bocca a Franco e Peppino non serve certamente a sollevare le sorti del fallimento. C’è ancora qualcuno che alla luce dei fatti qui narrati pensi che il sequestro della pensione possa giovare in qualche modo ai creditori? È inaudito che nel 2000 accadano ancora simili cose. Eppure il Medio Evo è passato da un pezzo. Persino la conquista della luna è già preistoria.
Fallimentopoli
Caso Gianoncelli
SONDRIO: SCONCERTO PER IL PROVVEDIMENTO DEL GIUDICE DELEGATO FANFARILLO
Radicali Sondrio
radicalisondrio@gmail.com
Pubblichiamo un articolo apparso su 'l Gazetin di novembre dal titolo "Senza pensione i Gianoncelli":
Così imparano a mettere in piazza, anziché subire in silenzio, tutte le prevaricazioni subite?
(Sondrio, Red.) Il Comitato territoriale Insieme per la Giustizia ha diffuso un comunicato con una notizia sconcertante: «I signori Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino, soci dichiarati falliti della Società Gianoncelli s.n.c., con decreto del Giudice Delegato al Fallimento dr. Fabrizio Fanfarillo datato 21 ottobre 2000, notificato il 24 ottobre 2000, sono stati espropriati delle pensioni future, già a far tempo dal mese di novembre 2000 (avverso il provvedimento i falliti hanno presentato ricorso).
Il Giudice Delegato ha adottato simile drastico provvedimento senza manco attendere la pronuncia della sentenza di un giudizio pendente avverso altra sua ordinanza del 19 settembre 2000, con cui ha disposto l’acquisizione di assegni circolari ottenuti dai falliti in pagamento della pensione di settembre, comprensiva del rimborso fiscale derivante dal Mod. 730/2000 (l’informazione è stata comunicata agli organi del fallimento dai diretti interessati).«Il ricorso, discusso nell’udienza del 19 ottobre 2000, verte su mere ragioni di diritto. I falliti si riportano, in particolare alla sentenza n. 6518/1998 con la quale la Corte di Cassazione ha sciolto un nodo molto dibattuto in dottrina in materia di credito Irpef. La condizione di pensionati dei signori Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino era cosa nota, in quanto il primo percepisce la pensione di vecchiaia dal mese di novembre 1997 (un mese prima del fallimento), mentre il secondo ha maturato il diritto in pieno fallimento (mese di febbraio 1999).
Il curatore, nonostante debba vagliare, per legge, tutta la corrispondenza dei falliti e nonostante abbia consegnato al Sig. Gianoncelli Peppino il libretto di pensione (inviato per posta), con la propria costituzione in giudizio ha affermato che solo ora è venuto a conoscenza che i falliti percepivano la pensione.«Con il provvedimento del 19 settembre, in netta contraddizione con il decreto del 21 ottobre (acquisizione delle pensioni all’attivo del fallimento), il dr. Fanfarillo affermava letteralmente: gli assegni de quibus contengono sia somme di pertinenza dei falliti (rata di pensione), sia somme di pertinenza della massa (rimborso di imposte)».«I falliti», conclude amaramente il comunicato, «se vorranno ottenere una quota della loro pensione a titolo di sussidio di sopravvivenza dovranno inoltrare apposita istanza al Giudice Delegato, documentare la situazione dei loro nuclei familiari e… sperare nella Divina Provvidenza». Per ragioni di spazio l’argomento, che è molto complesso ma di altrettanta inaudita gravità, verrà trattato in dettaglio nel prossimo numero.
SONDRIO: SCONCERTO PER IL PROVVEDIMENTO DEL GIUDICE DELEGATO FANFARILLO
Radicali Sondrio
radicalisondrio@gmail.com
Pubblichiamo un articolo apparso su 'l Gazetin di novembre dal titolo "Senza pensione i Gianoncelli":
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Così imparano a mettere in piazza, anziché subire in silenzio, tutte le prevaricazioni subite?
(Sondrio, Red.) Il Comitato territoriale Insieme per la Giustizia ha diffuso un comunicato con una notizia sconcertante: «I signori Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino, soci dichiarati falliti della Società Gianoncelli s.n.c., con decreto del Giudice Delegato al Fallimento dr. Fabrizio Fanfarillo datato 21 ottobre 2000, notificato il 24 ottobre 2000, sono stati espropriati delle pensioni future, già a far tempo dal mese di novembre 2000 (avverso il provvedimento i falliti hanno presentato ricorso).
Il Giudice Delegato ha adottato simile drastico provvedimento senza manco attendere la pronuncia della sentenza di un giudizio pendente avverso altra sua ordinanza del 19 settembre 2000, con cui ha disposto l’acquisizione di assegni circolari ottenuti dai falliti in pagamento della pensione di settembre, comprensiva del rimborso fiscale derivante dal Mod. 730/2000 (l’informazione è stata comunicata agli organi del fallimento dai diretti interessati).«Il ricorso, discusso nell’udienza del 19 ottobre 2000, verte su mere ragioni di diritto. I falliti si riportano, in particolare alla sentenza n. 6518/1998 con la quale la Corte di Cassazione ha sciolto un nodo molto dibattuto in dottrina in materia di credito Irpef. La condizione di pensionati dei signori Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino era cosa nota, in quanto il primo percepisce la pensione di vecchiaia dal mese di novembre 1997 (un mese prima del fallimento), mentre il secondo ha maturato il diritto in pieno fallimento (mese di febbraio 1999).
Il curatore, nonostante debba vagliare, per legge, tutta la corrispondenza dei falliti e nonostante abbia consegnato al Sig. Gianoncelli Peppino il libretto di pensione (inviato per posta), con la propria costituzione in giudizio ha affermato che solo ora è venuto a conoscenza che i falliti percepivano la pensione.«Con il provvedimento del 19 settembre, in netta contraddizione con il decreto del 21 ottobre (acquisizione delle pensioni all’attivo del fallimento), il dr. Fanfarillo affermava letteralmente: gli assegni de quibus contengono sia somme di pertinenza dei falliti (rata di pensione), sia somme di pertinenza della massa (rimborso di imposte)».«I falliti», conclude amaramente il comunicato, «se vorranno ottenere una quota della loro pensione a titolo di sussidio di sopravvivenza dovranno inoltrare apposita istanza al Giudice Delegato, documentare la situazione dei loro nuclei familiari e… sperare nella Divina Provvidenza». Per ragioni di spazio l’argomento, che è molto complesso ma di altrettanta inaudita gravità, verrà trattato in dettaglio nel prossimo numero.
Fallimentopoli a Sondrio
Caso Gianoncelli
UN FALLIMENTO DURATO PIU' DI DIECI ANNI, UN ESEMPIO DELLA GIUSTIZIA VALTELLINESE
Vi proponiamo un articolo apparso sul mensile di Morbegno 'l Gazetin di settembre relativo alla vicenda del fallimento Gianoncelli dal titolo "Oh, che bell'affare!"
UN FALLIMENTO DURATO PIU' DI DIECI ANNI, UN ESEMPIO DELLA GIUSTIZIA VALTELLINESE
Radicali Sondrio
radicalisondrio@gmail.com
Vi proponiamo un articolo apparso sul mensile di Morbegno 'l Gazetin di settembre relativo alla vicenda del fallimento Gianoncelli dal titolo "Oh, che bell'affare!"
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E pazienza se ai creditori del fallimento non resteranno che briciole. Appello al Presidente del Tribunale di Sondrio e invito a non lasciar passare sotto silenzio l'ignobile prevaricazione nei confronti della signora Lina Moretti a cura del Comitato territoriale "INSIEME PER LA GIUSTIZIA".
Il Comitato territoriale Insieme per la giustizia dell’Associazione nazionale Democrazia e Legalità, si sta interessando alle vicende collegate al fallimento della Società Gianoncelli Snc, di Gianoncelli Franco, Peppino e Bruno (Questo giornale si è già occupato del caso nell'edizione del dicembre 1998, con una ricostruzione curata dal Direttore - Ndr), le quali, pur riguardando una singola azienda e i suoi soci, presentano sfaccettature comuni a molti altri fallimenti. Stiamo predisponendo un articolato dossier, che verrà inoltrato alla Corte Europea per i diritti dell’uomo e alle istituzioni pubbliche che, direttamente o indirettamente, si occupano di Giustizia.
Del caso verrà interessato anche l’Osservatorio europeo sulla Legalità fondato dal Senatore Antonio Di Pietro, associazione federata con Democrazia e Legalità.È nostra intenzione pubblicare (a puntate) gli aspetti più salienti delle predette vicende sul Gazetin, ma lo faremo con le prossime edizioni, in quanto in questo numero ci preme, vista l’urgenza, prendere posizioni in difesa della signora Lina Moretti, persona di 90 anni compiuti, madre dei falliti, titolare del diritto di usufrutto indiviso al cinquanta per cento sugli immobili, ad uso commerciale, acquisiti al fallimento. L’usufruttuaria, come nei suoi pieni poteri, avrebbe voluto locare gli immobili, assicurando a sé e al fallimento una rendita mensile di circa lire tre milioni. Il curatore, dott. Marco Cottica, trincerandosi dietro pseudo-interessi del fallimento, ha posto il veto assoluto. La signora Lina Moretti è stata costretta ad adire le vie legali, per ottenere il risarcimento dei danni e per individuare la porzione di ciascun immobile su cui poter esercitare, in piena autonomia, fintanto che permane la comunione con il fallimento, il proprio diritto di usufrutto. Il curatore, per tutta risposta, ha chiesto la concentrazione dell’usufrutto su un unico immobile (o porzione di immobile). La signora Moretti non può essere privata dal diritto che lei stessa si è riservata in sede di donazione ai figli della nuda proprietà. Il curatore, che in base alla Legge fallimentare ha solo funzioni di amministratore, non ha titolo per impedire l’esercizio del diritto reale di usufrutto, né ha titolo per precludere qualsiasi possibilità di trattativa tra la signora Moretti e i futuri acquirenti degli immobili. Il curatore, che dalla data del fallimento (3 dicembre 1997) non aveva mosso un dito per vendere gli immobili, nel mese di aprile 2000, in piena causa, prima ancora che venisse esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, ha chiesto l’autorizzazione alla vendita degli immobili al Giudice delegato, dott. Fabrizio Fanfarillo.
Il dott. M. Cottica, per sua stessa ammissione, nell’istanza al giudice ha precisato che gli immobili, stante la causa pendente, non sono appetibili ma che si poteva tentare un primo esperimento d’asta (il tentativo è costato circa lire 210 milioni…). Il curatore, avrebbe dovuto attendere il deposito della sentenza, prima di dar corso a qualsivoglia esperimento d’asta. Diversamente dovrebbe rinunciare alle sue pretese e consentire alla signora Lina Moretti di esercitare il proprio diritto di usufrutto senza coercizioni di sorta. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca!!!Del resto, fino al deposito della predetta sentenza non è dato modo di sapere quale immobile (o porzione di immobile) venga venduto in regime di piena proprietà e quale in regime di nuda proprietà. Il primo esperimento d’asta, o meglio il primo tentativo, come prevedibile, è andato deserto.
Il curatore, incurante dell’evolversi della causa (c’è un’udienza l’11 di ottobre), in data 12 ottobre 2000 tenterà un secondo esperimento, che vede, in un colpo solo, un deprezzamento degli immobili di circa lire 210 milioni. E così, di tentativo in tentativo, gli acquirenti degli immobili faranno un affare, mentre ai creditori del fallimento non resteranno che poche briciole.L’attività commerciale è stata smantellata, le famiglie dei falliti sono state ridotte sul lastrico, i dipendenti hanno perso il posto di lavoro, gli immobili vengono svenduti, le spese di procedura e i danni sono alle stelle. A chi giova tutto questo? Dov’è l’interesse del fallimento? Perché mai a farne le spese dovrebbe essere la signora Moretti, che non ha nulla a che fare con il fallimento?
Per poter affrontare serenamente il futuro, ella ha bisogno di percepire ora la rendita mensile derivante dall’esercizio del suo diritto di usufrutto, per il quale, peraltro, è costretta a spendere oltre la metà della sua misera pensione (L. 800.000) per pagare le tasse (ICI, IRPEF e altri balzelli) sugli immobili posti in vendita.Il Comitato territoriale Insieme per la Giustizia dice basta alle prevaricazioni nei confronti di una persona di novanta anni e lancia un appello al Presidente del Tribunale, dott. Francesco Saverio Cerracchio, affinché disponga la sospensione dell’esperimento d’asta, fino al momento in cui la sentenza inerente la causa in corso verrà depositata.
Nel contempo gli immobili potrebbero essere concessi in locazione, consentendo sia alla signora Lina che al fallimento di percepire i relativi canoni. Si invitano coloro che hanno a cuore i problemi della giustizia a inviare al numero di fax 0342–512989 messaggi di solidarietà a favore della signora Lina Moretti, i quali verranno diffusi a mezzo stampa e su Internet e inoltrati al Ministro di Grazia e Giustizia, al Presidente della Repubblica, alla Commissione europea per i diritti dell’uomo affinché ciascuno, per quanto di propria competenza, adotti gli opportuni provvedimenti.
Il Comitato territoriale Insieme per la giustizia dell’Associazione nazionale Democrazia e Legalità, si sta interessando alle vicende collegate al fallimento della Società Gianoncelli Snc, di Gianoncelli Franco, Peppino e Bruno (Questo giornale si è già occupato del caso nell'edizione del dicembre 1998, con una ricostruzione curata dal Direttore - Ndr), le quali, pur riguardando una singola azienda e i suoi soci, presentano sfaccettature comuni a molti altri fallimenti. Stiamo predisponendo un articolato dossier, che verrà inoltrato alla Corte Europea per i diritti dell’uomo e alle istituzioni pubbliche che, direttamente o indirettamente, si occupano di Giustizia.
Del caso verrà interessato anche l’Osservatorio europeo sulla Legalità fondato dal Senatore Antonio Di Pietro, associazione federata con Democrazia e Legalità.È nostra intenzione pubblicare (a puntate) gli aspetti più salienti delle predette vicende sul Gazetin, ma lo faremo con le prossime edizioni, in quanto in questo numero ci preme, vista l’urgenza, prendere posizioni in difesa della signora Lina Moretti, persona di 90 anni compiuti, madre dei falliti, titolare del diritto di usufrutto indiviso al cinquanta per cento sugli immobili, ad uso commerciale, acquisiti al fallimento. L’usufruttuaria, come nei suoi pieni poteri, avrebbe voluto locare gli immobili, assicurando a sé e al fallimento una rendita mensile di circa lire tre milioni. Il curatore, dott. Marco Cottica, trincerandosi dietro pseudo-interessi del fallimento, ha posto il veto assoluto. La signora Lina Moretti è stata costretta ad adire le vie legali, per ottenere il risarcimento dei danni e per individuare la porzione di ciascun immobile su cui poter esercitare, in piena autonomia, fintanto che permane la comunione con il fallimento, il proprio diritto di usufrutto. Il curatore, per tutta risposta, ha chiesto la concentrazione dell’usufrutto su un unico immobile (o porzione di immobile). La signora Moretti non può essere privata dal diritto che lei stessa si è riservata in sede di donazione ai figli della nuda proprietà. Il curatore, che in base alla Legge fallimentare ha solo funzioni di amministratore, non ha titolo per impedire l’esercizio del diritto reale di usufrutto, né ha titolo per precludere qualsiasi possibilità di trattativa tra la signora Moretti e i futuri acquirenti degli immobili. Il curatore, che dalla data del fallimento (3 dicembre 1997) non aveva mosso un dito per vendere gli immobili, nel mese di aprile 2000, in piena causa, prima ancora che venisse esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, ha chiesto l’autorizzazione alla vendita degli immobili al Giudice delegato, dott. Fabrizio Fanfarillo.
Il dott. M. Cottica, per sua stessa ammissione, nell’istanza al giudice ha precisato che gli immobili, stante la causa pendente, non sono appetibili ma che si poteva tentare un primo esperimento d’asta (il tentativo è costato circa lire 210 milioni…). Il curatore, avrebbe dovuto attendere il deposito della sentenza, prima di dar corso a qualsivoglia esperimento d’asta. Diversamente dovrebbe rinunciare alle sue pretese e consentire alla signora Lina Moretti di esercitare il proprio diritto di usufrutto senza coercizioni di sorta. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca!!!Del resto, fino al deposito della predetta sentenza non è dato modo di sapere quale immobile (o porzione di immobile) venga venduto in regime di piena proprietà e quale in regime di nuda proprietà. Il primo esperimento d’asta, o meglio il primo tentativo, come prevedibile, è andato deserto.
Il curatore, incurante dell’evolversi della causa (c’è un’udienza l’11 di ottobre), in data 12 ottobre 2000 tenterà un secondo esperimento, che vede, in un colpo solo, un deprezzamento degli immobili di circa lire 210 milioni. E così, di tentativo in tentativo, gli acquirenti degli immobili faranno un affare, mentre ai creditori del fallimento non resteranno che poche briciole.L’attività commerciale è stata smantellata, le famiglie dei falliti sono state ridotte sul lastrico, i dipendenti hanno perso il posto di lavoro, gli immobili vengono svenduti, le spese di procedura e i danni sono alle stelle. A chi giova tutto questo? Dov’è l’interesse del fallimento? Perché mai a farne le spese dovrebbe essere la signora Moretti, che non ha nulla a che fare con il fallimento?
Per poter affrontare serenamente il futuro, ella ha bisogno di percepire ora la rendita mensile derivante dall’esercizio del suo diritto di usufrutto, per il quale, peraltro, è costretta a spendere oltre la metà della sua misera pensione (L. 800.000) per pagare le tasse (ICI, IRPEF e altri balzelli) sugli immobili posti in vendita.Il Comitato territoriale Insieme per la Giustizia dice basta alle prevaricazioni nei confronti di una persona di novanta anni e lancia un appello al Presidente del Tribunale, dott. Francesco Saverio Cerracchio, affinché disponga la sospensione dell’esperimento d’asta, fino al momento in cui la sentenza inerente la causa in corso verrà depositata.
Nel contempo gli immobili potrebbero essere concessi in locazione, consentendo sia alla signora Lina che al fallimento di percepire i relativi canoni. Si invitano coloro che hanno a cuore i problemi della giustizia a inviare al numero di fax 0342–512989 messaggi di solidarietà a favore della signora Lina Moretti, i quali verranno diffusi a mezzo stampa e su Internet e inoltrati al Ministro di Grazia e Giustizia, al Presidente della Repubblica, alla Commissione europea per i diritti dell’uomo affinché ciascuno, per quanto di propria competenza, adotti gli opportuni provvedimenti.
lunedì 22 marzo 2010
Caso Gianoncelli
A voi l'ardua sentenza
LIBERTA' DI STAMPA: UN FALLIMENTO TUTTO VALTELLINESE
Gianluigi Corinto, 'Dura lex sed roLex"
(la vignetta di Giannino - www.aduc.it, 31/08/2009)
31 Agosto 2009
Pubblichiamo integralmente di seguito, con qualche piccola nota esplicativa, il testo della sentenza n. 2513/08 della Corte d'Appello di Milano, che ha ribaltato il giudizio di primo grado. Notificataci dall'Avv. Venosta a fine febbraio, dopo la sua lettera pubblicata nella scorsa edizione, con precetto per il pagamento di quanto disposto, la sentenza è stata da noi impugnata in Cassazione il 4 marzo, con l'assistenza dell'Avv. Franca Alessio. Ci scusiamo per lo spazio che prende tale pubblicazione, ma non vogliamo lasciare nemmeno l'ombra del dubbio che si voglia occultare qualcosa. E poi, così, faremo contento anche l'Avv. Venosta, con il suo assistito.
REPUBBLICA ITALIANA/ IN NOME DEL POPOLO ITALIANO/ LA CORTE DI APPELLO DI MILANO/ SEZIONE SECONDA CIVILE/ in persona dei Magistrati/ Dott. Giacomo Deodato – Presidente/ Dott. Raffaella d'Antonio – Cons. est./ Dott. Amedeo Santosuosso – Consigliere/ ha pronunciato la seguente SENTENZA/ nella causa civile promossa in grado d'appello con citazione notificata in data 17 febbraio 2005 a ministero aiutante ufficiale giudiziario dell'Ufficio unico notificazioni di Milano, e decisa il 25 GIUGNO(1) 2008 TRA/ SANSI ENEA, COOPERATIVA LABORATORIO SOCIALE a r.l., MOTTARELLI VANNA, elettivamente domiciliati in Milano, presso l'avv. Bressan, via Perosi 1, dalla medesima rappresentati e difesi, giusta procura in atti/ Appellanti
E/ COTTICA MARCO, domiciliato in Milano presso l'avv. Motta, via F. Hayez 16, dal medesimo rappresentato e difeso, unitamente all'avv. Venosta del Foro di Sondrio, giusta procura in atti/ Appellato CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DELLE parti/ come da fogli allegati/ (...)
Il commercialista dr. Marco Cottica conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sondrio la dr. Vanna Mottarelli, Enea Sansi e la Cooperativa Laboratorio Sociale Labos, perché fossero condannati in solido al risarcimento dei gravi danni subiti in conseguenza della pubblicazione sul periodico “I GAZETIN”, nei numeri di settembre, ottobre, novembre, dicembre 2000, gennaio ed aprile 2001, di alcuni articoli, considerati gravemente lesivi dell'onore e della reputazione di esso attore.
A sostegno della pretesa avanzata, il Cottica premetteva di essere stato nominato, nel dicembre '97, curatore del fallimento della società Gianoncelli S.n.c., nonché dei soci illimitatamente responsabili Franco e Peppino Gianoncelli. Sebbene l'attività di curatela da lui svolta fosse stata imparziale ed rispettosa della deontologia professionale, egli fu scretitato(2) dalla predetta campagna di stampa al punto che il suo nome “divenne simbolo di persecuzioni, di soprusi e di prevaricazioni...”.
Costituitasi in giudizio, la Mottarelli eccepiva preliminarmente la carenza di legittimazione attiva e passiva, sia perché l'eventuale diffamazione sarebbe stata diretta verso il curatore in quanto tale, e non verso il commercialista in proprio, sia perché essa rivestiva la qualità di presidente del comitato territoriale, effettivo autore degli articoli incriminati.
Nel merito, sosteneva la fedeltà di quanto pubblicato con il comportamento tenuto dal Cottica riguardo alla(e) varie controversie inerenti il Fallimento Gianoncelli, richiamando comunque i principi affermati dalla Cassazione a proposito del diritto di critica.
Analoga linea difensiva assumevano il Sansi e la Labos. Con sentenza n. 555/03, il Giudice adito rigettava la domanda attorea, ritenendo che le diverse pubblicazioni potessero rientrare a buon diritto nel corretto esercizio del diritto di critica; rigettava la domanda dei convenuti di condanna dell'attore ex art. 96 c.p.c.; compensava interamente fra le parti le spese di lite.
La decisione veniva impugnata dai convenuti Sansi e Mottarelli, quest'ultima insistendo sull'eccezione di carenza della sua legittimazione passiva, entrambi sulla condanna del Cottica al ristoro dei danni per lite temeraria.
Resisteva l'appellato, il quale spiegava impugnazione incidentale volta alla riforma della statuizione relativa all'an della vertenza, stante il carattere a suo dire diffamatorio degli articoli de quibus, e protestando le spese di giudizio.
Dopo lo scambio tra le parti degli atti defensionali previsti dal combinato disposto degli artt. 352 e 190 c.p.c., la causa è stata decisa nell'odierna udienza collegiale, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe trascritte.
La fattispecie in esame, stante la sua complessità, esige un approfondimento non compiutamente effettuato dal primo Giudice.
1) Preliminare alla disamina della sostanza dell'impugnazione appare la valutazione dell'eccezione preliminare ribadita dalla Difesa della Mottarelli nel presente grado. Sostiene dunque la Difesa di quest'ultima che il Tribunale avrebbe “fornito una falsa interpretazione delle norme che regolano i comitato e la responsabilità solidale e illimitata dei suoi componenti”, la cui responsabilità in tanto sussiste in quanto sia stata previamente accertata la responsabilità i capo al comitato medesimo (pag. 4 atto d'appello). Pertanto, la citazione introduttiva avrebbe dovuto essere notificata al Comitato, in persona dell'allora Presidente pro tempore Stefano Bertelli. Reputa la Corte che l'impostazione difensiva della Mottarelli sia fuorviante.
La legittimazione passiva della stessa trae origine dalla sua appartenenza al comitato suddetto, ai sensi dell'art. 41 c.c., che non prevede alcun criterio di priorità nell'accertamento della responsabilità anche per atti illeciti tra l'ente in quanto tale, ed i singoli membri del comitato, privi di personalità giuridica, pur se dotati di un minimo di autonomia patrimoniale ed organizzativa (analogamente, del resto, alla società semplice). (cfr. in subiecta matera, Cass. n. 6032/94; n. 134/82). Non incide sul problema qui dibattuto il profilo della capacità processuale del comitato, pacificamente spettante al suo presidente ex art. 41, secondo comma c.c.
2) Il merito della vertenza, devoluto all'esame del Giudicante dell'appello incidentale del Cottica – e la cui disamina è prioritaria rispetto all'appello principale –, richiede un analitico esame degli scritti incriminati. Come s'è anticipato nella parte espositiva, gli articoli si susseguono nell'arco cronologico settembre 2000/aprile 2001.
a) Nel primo articolo, premesso l'intendimento di “pubblicare... gli aspetti più salienti delle vicende... collegate al fallimento della società commerciale Snc. Di Gianoncelli Franco, Peppino e Bruno...” viene direttamente imputato al curatore Cottica di operare malamente, a danno della madre dei falliti Lina Moretti “trincerandosi dietro pesudo-interessi del fallimento”, e così chiedendo al G.D. Fanfarillo l'autorizzazione alla vendita all'asta degli immobili, senza “attendere il deposito della sentenza”, come sarebbe stato suo preciso dovere.(5) Peraltro, l'articolo risulta titolato in grassetto(6). Fallimentopoli... oh, che bell'affare! ...appello al Presidente del Tribunale di Sondrio e invito a non lasciar passare sotto silenzio l'ignobile prevaricazione nei confronti della signora Lina Moretti
b) l'argomento veniva brevemente ripreso,(7) con contestuale preannuncio di ulteriori approfondimenti nel numero successivo,(8) nell'articolo del novembre 2000, titolato “SCONCERTO PER IL PROVVEDIMENTO GD FANFARILLO. SENZA PENSIONE I GIANONCELLI”. Così imparano a mettere in piazza, anzicchè(9) subire in silenzio, tutte le prevaricazioni subite?” ???
c) Con l'articolo del dicembre 2000, si sottolineava come “i falliti, non potendo contare sulla collaborazione del curatore” erano stati costretti a muoversi autonomamente, inoltrando segnalazioni a diversi organi giudiziari a proposito del rimborso dei crediti di imposta. Più oltre si protestava perchè “gli immobili erano stati messi all'asta un primo esperimento, andato deserto, e ritentando, con ribasso di oltre 200 milioni (circa 10 anni di pensione di entrambi i fratelli Gianoncelli!) un secondo esperimento, pure andato deserto. È lecito presumere che possa esservi un terzo tentativo,con un ulteriore ribasso di 200 milioni e così via. ...togliere il pane di bocca a Franco e Peppino non serve certamente a sollevare le sorti del fallimento”.
d) Nell'art. del gennaio 2001 – titolato – l'autore(10) dello scritto si dilungava sulla tempistica della procedura fallimentare in corso, sulla questione dei crediti d'imposta, sulla legittimità del principio affermato dal tribunale secondo cui i debiti d'imposta eventualmente versati in eccedenza dai falliti competono al Fallimento, anzicchè ai falliti in proprio. E concludeva con la seguente pleonastica domanda: “Quanto dovranno ancora soffrire i signori Franco e Peppino Gianoncelli? Siamo veramente sicuri che tutto quanto accaduto rientri nella piena legalità?” La nostra associazione ha intenzione di scoprirlo, segnalando i fatti all'autorità competente...
Vorremmo rivolgere una domanda a coloro che, forti del potere, fanno del male alle persone deboli e indifese: se un giorno i vostri figli o i figli dei vostri figli si trovassero in difficoltà e incontrassero sul loro cammino persone come voi, ne sareste felici?”.
e) sul numero dell'aprile 2001 compare in grassetto il titolo: “BASTA PERSECUZIONI ALLA FAMIGLIA GIANONCELLI!!!”. Nel corpo dello scritto viene sintetizzata ex novo la vicenda del fall.to Gianoncelli, precipuamente sotto il profilo del rimborso del credito IRPEF, criticando aspramente il Cottica (che, nonostante il contrario avviso del giudice, aveva intimato all'Istituto San Paolo IMI di indennizzare il Fall.to dell'importo di lire 10.000.000 pagato a Gianoncelli Franco per il tramite della figlia Patrizia, totalmente estranea alla procedura fall., mandando conseguentemente in rosso il c/c personale di questa). “Come ha potuto il curatore intraprendere simile arbitraria iniziativa – concludeva l'articolista(11) con indignazione? ...gli scriventi organismi non sono disposti a tollerare oltre questo stillicidio di persecuzioni nei confronti di una famiglia che ha avuto il coraggio di difendere con le unghie e con i denti i propri diritti...
Chiediamo con forza al presidente del Tribunale ed al Procuratore della Repubblica di assumere iniziative di loro competenza per far cessare queste aberranti persecuzioni”.
f) infine, ne “I GAZETIN ULTIMA EDIZIONE! del 12 gennaio '01(12) viene pubblicato un articolo assai ampio nel quale si riassume la “kafkiana procedura fallimentare” che avrebbe pesantemente nuociuto ai fratelli Gianoncelli, tramite.un susseguirsi di atti e provvedimenti del Giudice delegato e del curatore, sui quali si può dire ogni cosa, ma non certamente che brillino per linearità, coerenza e correttezza .
Tutto ciò premesso in fatto, la Corte osserva quanto segue.
Sul piano generale, non si rende certo un buon servizio alla Giustizia screditandone le istituzioni, come inequivocabilmente è stato fatto dagli appellanti principali con le pubblicazioni dianzi elencate.
Gli operatori del diritto sono ben consapevoli dei limiti della normativa cui hanno giurato di conformarsi nell'esercizio della 'iuris dictio'.
Tuttavia, nel sistema normativo italiano non è consentito (come invece nei paesi anglosassoni) di discostarsi dalle norme vigenti per 'creare' un quid novi, che potrebbe magari adattarsi maggiormente alle esigenze del caso concreto.
Ciò posto, è d'uopo richiamare i principi fondamentali in materia di diffamazione a mezzo stampa. Come è noto, i parametri idonei a valutare l'offensività delle espressioni adoperate possono considerarsi ormai cristallizzati, alla stregua dei criteri dettati dalla Corte di Legittimità da un decennio a questa parte.
Il diritto di cronaca si sostanzia nel “potere/dovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita associata”, costituendo espressione del principio della libertà di stampa proclamato dall'art. 21 della Carta Costituzionale, pur con il temperamento sancito dall'art. 2 relativo alla esigenza di tutela dell'onore delle persone, concepito come diritto inviolabile dell'uomo.
La giurisprudenza di legittimità e di merito, sviscerando la relativa problematica, è pervenuta alla individuazione di tre condizioni in presenza delle quali la diffusione di notizie potenzialmente lesive dell'onore e della reputazione di una persona perde la sua connotazione di illiceità, costituendo esercizio del diritto di cronaca.
Tali condizioni sono: a) la verità della notizia pubblicata; b) l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto; c) la c.d. Continenza, ossia la correttezza formale dell'esposizione.
La verità della notizia pubblicata, intesa come verità sostanziale, vale a dire come correlazione rigorosa tra il fatto accaduto e la notizia pubblicata, è richiesta sia dall'art. 8 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (sulla stampa), oggi sostituito dall'art. 42 legge 5 agosto 1981 n. 416, sia dall'art. 7 legge 14 aprile 1975 n. 103 (sulle diffusioni radio-televisive) e soddisfa alle esigenze dell'informazione e quindi alla ratio dell'art. 21 della Costituzione, integrando l'esimente dell'art. 51 c.p.
Solo la verità sostanziale della notizia diffusa rende pertanto non antigiuridica, nel concorso delle altre due condizioni della pertinenza e della continenza, l'eventuale lesione della reputazione altrui (Cass. Pen. 14 dicembre 1993; 27 aprile 1992, imp. Melchione; 6.6.88, imput. Beria d'Argentine).
Orbene, la verifica volta ad individuare la sussistenza nella fattispecie dei requisiti indicati conduce a conclusioni nettamente negative.
Giova rammentare in proposito il principio più volte affermato dalla Corte Regolatrice “...secondo il quale la valutazione del carattere diffamatorio o non di uno scritto o di altra manifestazione del pensiero si pone, per il giudice che deve adottarla, come valutazione di un fatto: falsificazione o manipolazione della considerazione che le qualità di una persona determinata hanno in un contesto sociale” (Cass., terza sez. civile, sent. 17.10.97).
Sempre in argomento, “...in tema di diffamazione con il mezzo della stampa, qualora il fatto non sia già stato valutato in sede penale,(13) il giudice civile deve svolgere un accertamento preordinato alla verifica dell'esistenza dei presupposti della responsabilità civile e, in definitiva, di un danno risarcibile, presupposto ravvisabile nella consapevole diffusione, a mezzo dell'organo di informazione, del fatto determinato, lesivo dell'onore e del prestigio del soggetto passivo, nel danno e nel discredito che ne è a quest'ultimo derivato, e nella esistenza di un nesso di adeguata causalità tra la condotta e l'evento indicati, con la conseguenza che l'esimente del diritto di cronaca sarà invocabile, da parte del giornalista, solo all'esito di un rigoroso controllo dell'attendibilità della fonte, della verità sostanziale dei fatti(14) oggetto della notizia della manifestazione del pensiero e delle idee secondo canoni deontologici di correttezza professionale e secondo criteri di non distorsione della notizia, attraverso la sua correlazione con altre informazioni ed affermazioni che risultino, non già del tutto gratuite od immaginarie, ma utili alla migliore comprensione dei fatti riportati...” (Cass. Sent. n. 9746/2000).
Assume tuttavia la Difesa degli appellanti che nel caso di specie la continenza, nei suoi due profili, sarebbe stata rispettata, perché il diritto di critica, per sua stessa natura, non soggiace ai limiti rigidi fissati in generale per la cronaca, sicchè la valutazione della continenza si attenua per lasciare spazio all'interpretazione soggettiva dei fatti raccontati per svolgere le censure che si vogliono esprimere. Tale tesi, sebbene accolta dal primo Giudice, non è condivisibile.
È ben vero che il diritto di critica, rispetto al diritto di cronaca, consente l'uso di un linguaggio più pungente ed incisivo; in ogni caso però le espressioni usate non devono trasmodare in affermazioni verbali gratuite, miranti, non a corroborare i fatti esposti, bensì solo ad ingenerare nel lettore un giudizio di disvalore sociale della persona.
Orbene, con riferimento all'operato del curatore, è innegabile che ne sia stata lesa la reputazione con espressioni ingiuriose (sopra riportate) che non si conciliano neppure con l'esercizio del diritto di critica: il quale, pur se svincolato dai rigidi parametri fissati dalla giurisprudenza di Legittimità per il diritto di cronaca, deve comunque essere mantenuto nei limiti della continenza formale e sostanziale.(15)
Non si possono consentire, senza trasmodare appunto nell'ingiuria gratuita, espressioni come “aberranti persecuzioni”(16) poste in essere sia dal giudice(17) che dal curatore nei confronti di “persone deboli e indifese”, esposte all'indiscriminato abuso del potere da parte appunto degli organi fallimentari; oppure giudizi 'tranchant' del tipo di quelli rivolti al G.D. e al curatore dalla Mottarelli e dal socio Sansi nel numero ''I GAZETIN' (mancanza in costoro di linearità, correttezza e coerenza).
L'accusa di 'affamare i falliti' (nel numero di dic. 2000) senza nessun vantaggio per il fallimento, o di operare al di fuori della legalità (genn.2001), prevaricando (“senza pensione i Gianoncelli. Così imparano a mettere in piazza... tutte le prevaricazioni subite?”: nov. 2000), rivolta sia al curatore sia al G.D., sono del pari infamanti per un organo cui è delegata una funzione fondamentale per l'equilibrato svolgimento della procedura fallimentare.
Né si legittima la manipolazione delle sequenze della procedura medesima effettuata ad arte dalla Mottarelli (commercialista dei Gianoncelli e quindi esperta dei relativi meccanismi), idonee come tali a creare confusione e malanimo nella generalità dei lettori, cui la Legge Fallimentare è completamente ignota.
La vendita all'asta di immobili oggetto del fallimento concreta una modalità tipica per tentare di guadagnare liquidi con cui soddisfare i creditori del fallimento. Ed il ribasso volta a volta stabilito del prezzo base è del pari previsto per rendere appetibili beni che diversamente rimarrebbero invenduti.
E che dire, infine, della pesante accusa indirizzata al curatore e al G.D.,(18) indicati come emblema di crudeltà assolutamente da evitare: “se un giorno i vostri figli o i figli dei vostri figli si trovassero in difficoltà e incontrassero sul loro cammino persone come voi, ne sareste felici?”.
Alla stregua delle svolte considerazioni, reputa la Corte che debba essere ritenuta la diffamazione ai danni di Cottica (unico a dolersene), perpetrata con la pubblicazione degli articoli predetti, non potendo riconoscersi agli appellanti la scriminante del diritto di cronaca e di critica da essi invocata.
In ordine al 'quantum' risarcitorio, precipuamente alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale in tema di danno morale (cfr. sent. Corte Cost. n. 233/03; sent. Corte di Cassazione, 3° sez. n. 4783/01; Sent. Tribunale Penale di Agrigento n. 191/01; sent. Tribunale penale di Locri n. 462/00; sent. Giudice di Pace di Torino 21.3.01 Lop/Ospedale Mauriziano di Lanzo Torinese), pare equo riconoscere al Cottica la somma di €. 10.000,00 in moneta attuale, con interessi legali dalla data del fatto (aprile 2001) al soddisfo.
3) L'accoglimento dell'appello incidentale comporta il rigetto di quello principale, non essendo configurabile la pretesa lite temeraria nell'ipotesi di ritenuta fondatezza della domanda attorea.
4) L'esito del giudizio di merito si riflette sul regolamento delle spese giudiziali, destinate a gravare sugli appellanti principali, soccombenti in toto. Tali spese si liquidano – quanto al primo grado – in complessivi EURO 6.320,00 di cui 620,00 per spese borsuali, 1.700.000(19) per diritti di procuratore, lire(20) 4.000,00 per onorari di avvocato, oltre accessori come per legge, e – quanto al secondo – in complessivi EURO 5.800,00 di cui 1.800,00 per diritti di procuratore, e 4.000.000(21) per onorari di avvocato, oltre accessori come per legge.
P.Q.M./ LA CORTE/ definitivamente pronunziando sulle contrapposte impugnazioni, in parziale riforma della sentenza n. 555/03 resa inter partes dal tribunale di Sondrio, ogni contraria domanda ed eccezione reietta, così provvede:
ACCERTA/ il carattere diffamatorio nei confronti di Marco Cottica degli articoli pubblicati sul settimanale “I GAZETIN”, nei mesi di settembre 2000/aprile 2001;
CONDANNA/ Vanna Mottarelli, Enea Sansi e la Cooperativa Laboratorio Sociale a r.l., in via tra loro solidale, a pagare al Cottica a titolo risarcitorio la somma di € 10.000,00 in moneta attuale, con interessi legali dalla data del fatto (aprile 2001) al soddisfo;
RIGETTA/ l'impugnazione principale;
CONDANNA/ Vanna Mottarelli, Enea Sansi e la Cooperativa Laboratorio Sociale a r.l. a rifondere al Cottica le spese del giudizio di merito, come sopra liquidate rispettivamente in complessivi EURO 6.320,00 e 5.800,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso a Milano, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte d'Appello, in data 25(22) giugno 2008.
IL PRESIDENTE/ F.to Giacomo Deodato
IL CONSIGLIERE ESTENSORE/ F.to Raffaella d'Antonio
(1) Così corretto a penna (con sigla illeggibile) dal precedente «??? luglio».
(2) Così nel testo; leggasi screditato.
(3) I lettori ricorderanno che quelle spese legali, unitamente a quelle che si dovettero sostenere per altre iniziative giudiziarie assunte dal Dr Cottica in sede penale, misero in grave difficoltà il giornale, tanto che dovette ricorrere a una straordinaria campagna di finanziamento tra i lettori.
(4) Rimane mistero perché venga imputata e condannata Vanna Mottarelli per articoli redatti e firmati dal Comitato Insieme per la Giustizia.
(5) Questa perentoria affermazione («come sarebbe stato suo preciso dovere»), come tutte le altre frasi non virgolettate inserite a seguire nell'«analitico esame degli scritti incriminati», non è contenuta nell'articolo del giornale.
(6) Che un titolo sia «in grassetto» è davvero una simpatica, oltre che ovviamente utile, annotazione...!
(7) Nell'articolo di settembre si trattava della vendita degli immobili, in questo si dà notizia delle pensioni tolte a Franco e Peppino Gianoncelli. Quest'ultimo, poi, è un redazionale (e infatti firmato «Red.»): viene anch'esso 'addebitato' a Vanna Mottarelli quale componente del Comitato Insieme per la Giustizia?
(8) La notizia era giunta a giornale ormai in stampa. La breve nota, pertanto, così si concludeva: «Per ragioni di spazio l’argomento, che è molto complesso ma di altrettanta inaudita gravità, verrà trattato in dettaglio nel prossimo numero».
(9) Così malamente riportato.
(10) Comitato territoriale Insieme per la Giustizia.
(11) Sarebbe stato d'obbligo perlomeno l'uso del plurale, visto che si tratta di: Osservatorio europeo sulla legalità; Italia dei Valori e Insieme per la Giustizia. L'articolo, come esplicitato nel sommario, è in realtà un appello/lettera aperta indirizzata da queste associazioni al Presidente e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio. Il giornale, infatti, la pubblica nello spazio “Lettere al Direttore”.
(12) Questa edizione (del giornale), in realtà, non esiste: si tratta di una nota-stampa diffusa, in data 09/12/2000, dalla Direzione editoriale per il lancio dell'edizione di dicembre 2000. Il Dr Cottica l'ha prodotta nell'atto di citazione, probabilmente presa da Internet. Non può in ogni caso riguardare la “diffamazione con il mezzo della stampa”.
(13) La sottolineatura è nostra: la condizione si è infatti verificata nella circostanza in parola, come anche i lettori ricorderanno (cfr. 'l Gazetin, aprile 2003, nelle “BREVI di cronaca giudiziaria”), ma la Corte d'Appello, benché documentato agli atti, sembra ignorarlo.
(14) Altra nostra sottolineatura: la verità storica è stata accertata dal Tribunale di Sondrio e non viene contestata né discussa in questa sentenza.
(15) Dopo l'«analitico esame degli scritti incriminati» e le sagge citazioni di giurisprudenza di legittimità e di merito (peccato solo vengano poi utilizzate all'esatto opposto del loro significato!), la Corte giunge alle conclusioni che determinano la sua decisione. Nel puzzle che segue, preceduto da una linea a tratteggio (per evidenziarne la “centralità”?), l'estensore fa un tutt'uno degli articoli, e di questi con la nota-stampa, costruendo intere nuove frasi di senso compiuto e riportando espressioni utilizzate negli articoli in ben diverso contesto e riferite a circostanze, tempi e soggetti diversi. Il lettore potrà facilmente rendersene conto comparando i brani sopra riportati alle lettere da a) ad f) e questo fuorviante assemblaggio.
(16) Da notare, come già ricordato, che stiamo parlando di un appello rivolto da tre associazioni al Presidente e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio. Toni e termini sono quelli tipici della comunicazione politica.
(17) Totalmente estraneo alla causa.
(18) L'espressione, com'è chiaro dal contesto da cui qui viene estratta, non è riferita né al curatore, né al giudice delegato, ma genericamente diretta a tutti coloro che sono investiti di pubblici poteri.
(19) Così nel testo. Si presume debba, per differenza, leggersi «1.700,00».
(20) Così nel testo. Si presume, sempre per differenza, debba intendersi «Euro».
(21) Così nel testo. Si presume debba leggersi «4.000,00».
(22) Inserito a penna e siglato «(Rd'A)».
LIBERTA' DI STAMPA: UN FALLIMENTO TUTTO VALTELLINESE
Radicali Sondrio
radicalisondrio@gmail.com
Gianluigi Corinto, 'Dura lex sed roLex"
(la vignetta di Giannino - www.aduc.it, 31/08/2009)
31 Agosto 2009
Pubblichiamo integralmente di seguito, con qualche piccola nota esplicativa, il testo della sentenza n. 2513/08 della Corte d'Appello di Milano, che ha ribaltato il giudizio di primo grado. Notificataci dall'Avv. Venosta a fine febbraio, dopo la sua lettera pubblicata nella scorsa edizione, con precetto per il pagamento di quanto disposto, la sentenza è stata da noi impugnata in Cassazione il 4 marzo, con l'assistenza dell'Avv. Franca Alessio. Ci scusiamo per lo spazio che prende tale pubblicazione, ma non vogliamo lasciare nemmeno l'ombra del dubbio che si voglia occultare qualcosa. E poi, così, faremo contento anche l'Avv. Venosta, con il suo assistito.
***
REPUBBLICA ITALIANA/ IN NOME DEL POPOLO ITALIANO/ LA CORTE DI APPELLO DI MILANO/ SEZIONE SECONDA CIVILE/ in persona dei Magistrati/ Dott. Giacomo Deodato – Presidente/ Dott. Raffaella d'Antonio – Cons. est./ Dott. Amedeo Santosuosso – Consigliere/ ha pronunciato la seguente SENTENZA/ nella causa civile promossa in grado d'appello con citazione notificata in data 17 febbraio 2005 a ministero aiutante ufficiale giudiziario dell'Ufficio unico notificazioni di Milano, e decisa il 25 GIUGNO(1) 2008 TRA/ SANSI ENEA, COOPERATIVA LABORATORIO SOCIALE a r.l., MOTTARELLI VANNA, elettivamente domiciliati in Milano, presso l'avv. Bressan, via Perosi 1, dalla medesima rappresentati e difesi, giusta procura in atti/ Appellanti
E/ COTTICA MARCO, domiciliato in Milano presso l'avv. Motta, via F. Hayez 16, dal medesimo rappresentato e difeso, unitamente all'avv. Venosta del Foro di Sondrio, giusta procura in atti/ Appellato CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DELLE parti/ come da fogli allegati/ (...)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il commercialista dr. Marco Cottica conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sondrio la dr. Vanna Mottarelli, Enea Sansi e la Cooperativa Laboratorio Sociale Labos, perché fossero condannati in solido al risarcimento dei gravi danni subiti in conseguenza della pubblicazione sul periodico “I GAZETIN”, nei numeri di settembre, ottobre, novembre, dicembre 2000, gennaio ed aprile 2001, di alcuni articoli, considerati gravemente lesivi dell'onore e della reputazione di esso attore.
A sostegno della pretesa avanzata, il Cottica premetteva di essere stato nominato, nel dicembre '97, curatore del fallimento della società Gianoncelli S.n.c., nonché dei soci illimitatamente responsabili Franco e Peppino Gianoncelli. Sebbene l'attività di curatela da lui svolta fosse stata imparziale ed rispettosa della deontologia professionale, egli fu scretitato(2) dalla predetta campagna di stampa al punto che il suo nome “divenne simbolo di persecuzioni, di soprusi e di prevaricazioni...”.
Costituitasi in giudizio, la Mottarelli eccepiva preliminarmente la carenza di legittimazione attiva e passiva, sia perché l'eventuale diffamazione sarebbe stata diretta verso il curatore in quanto tale, e non verso il commercialista in proprio, sia perché essa rivestiva la qualità di presidente del comitato territoriale
Nel merito, sosteneva la fedeltà di quanto pubblicato con il comportamento tenuto dal Cottica riguardo alla(e) varie controversie inerenti il Fallimento Gianoncelli, richiamando comunque i principi affermati dalla Cassazione a proposito del diritto di critica.
Analoga linea difensiva assumevano il Sansi e la Labos. Con sentenza n. 555/03, il Giudice adito rigettava la domanda attorea, ritenendo che le diverse pubblicazioni potessero rientrare a buon diritto nel corretto esercizio del diritto di critica; rigettava la domanda dei convenuti di condanna dell'attore ex art. 96 c.p.c.; compensava interamente fra le parti le spese di lite.
La decisione veniva impugnata dai convenuti Sansi e Mottarelli, quest'ultima insistendo sull'eccezione di carenza della sua legittimazione passiva, entrambi sulla condanna del Cottica al ristoro dei danni per lite temeraria.
Dopo lo scambio tra le parti degli atti defensionali previsti dal combinato disposto degli artt. 352 e 190 c.p.c., la causa è stata decisa nell'odierna udienza collegiale, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe trascritte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Preliminare alla disamina della sostanza dell'impugnazione appare la valutazione dell'eccezione preliminare ribadita dalla Difesa della Mottarelli nel presente grado. Sostiene dunque la Difesa di quest'ultima che il Tribunale avrebbe “fornito una falsa interpretazione delle norme che regolano i comitato e la responsabilità solidale e illimitata dei suoi componenti”, la cui responsabilità in tanto sussiste in quanto sia stata previamente accertata la responsabilità i capo al comitato medesimo (pag. 4 atto d'appello). Pertanto, la citazione introduttiva avrebbe dovuto essere notificata al Comitato, in persona dell'allora Presidente pro tempore Stefano Bertelli. Reputa la Corte che l'impostazione difensiva della Mottarelli sia fuorviante.
La legittimazione passiva della stessa trae origine dalla sua appartenenza al comitato suddetto, ai sensi dell'art. 41 c.c., che non prevede alcun criterio di priorità nell'accertamento della responsabilità anche per atti illeciti tra l'ente in quanto tale, ed i singoli membri del comitato, privi di personalità giuridica, pur se dotati di un minimo di autonomia patrimoniale ed organizzativa (analogamente, del resto, alla società semplice). (cfr. in subiecta matera, Cass. n. 6032/94; n. 134/82).
a) Nel primo articolo, premesso l'intendimento di “pubblicare... gli aspetti più salienti delle vicende... collegate al fallimento della società commerciale Snc. Di Gianoncelli Franco, Peppino e Bruno...” viene direttamente imputato al curatore Cottica di operare malamente, a danno della madre dei falliti Lina Moretti “trincerandosi dietro pesudo-interessi del fallimento”, e così chiedendo al G.D. Fanfarillo l'autorizzazione alla vendita all'asta degli immobili, senza “attendere il deposito della sentenza”, come sarebbe stato suo preciso dovere.(5) Peraltro, l'articolo risulta titolato in grassetto(6)
Chiediamo con forza al presidente del Tribunale ed al Procuratore della Repubblica di assumere iniziative di loro competenza per far cessare queste aberranti persecuzioni”.
f) infine, ne “I GAZETIN ULTIMA EDIZIONE! del 12 gennaio '01(12) viene pubblicato un articolo assai ampio nel quale si riassume la “kafkiana procedura fallimentare” che avrebbe pesantemente nuociuto ai fratelli Gianoncelli, tramite
Tutto ciò premesso in fatto, la Corte osserva quanto segue.
Sul piano generale, non si rende certo un buon servizio alla Giustizia screditandone le istituzioni, come inequivocabilmente è stato fatto dagli appellanti principali con le pubblicazioni dianzi elencate.
Gli operatori del diritto sono ben consapevoli dei limiti della normativa cui hanno giurato di conformarsi nell'esercizio della 'iuris dictio'.
Tuttavia, nel sistema normativo italiano non è consentito (come invece nei paesi anglosassoni) di discostarsi dalle norme vigenti per 'creare' un quid novi, che potrebbe magari adattarsi maggiormente alle esigenze del caso concreto.
Ciò posto, è d'uopo richiamare i principi fondamentali in materia di diffamazione a mezzo stampa. Come è noto, i parametri idonei a valutare l'offensività delle espressioni adoperate possono considerarsi ormai cristallizzati, alla stregua dei criteri dettati dalla Corte di Legittimità da un decennio a questa parte.
Il diritto di cronaca si sostanzia nel “potere/dovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita associata”, costituendo espressione del principio della libertà di stampa proclamato dall'art. 21 della Carta Costituzionale, pur con il temperamento sancito dall'art. 2 relativo alla esigenza di tutela dell'onore delle persone, concepito come diritto inviolabile dell'uomo.
La giurisprudenza di legittimità e di merito, sviscerando la relativa problematica, è pervenuta alla individuazione di tre condizioni in presenza delle quali la diffusione di notizie potenzialmente lesive dell'onore e della reputazione di una persona perde la sua connotazione di illiceità, costituendo esercizio del diritto di cronaca.
Tali condizioni sono: a) la verità della notizia pubblicata; b) l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto; c) la c.d. Continenza, ossia la correttezza formale dell'esposizione.
La verità della notizia pubblicata, intesa come verità sostanziale, vale a dire come correlazione rigorosa tra il fatto accaduto e la notizia pubblicata, è richiesta sia dall'art. 8 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (sulla stampa), oggi sostituito dall'art. 42 legge 5 agosto 1981 n. 416, sia dall'art. 7 legge 14 aprile 1975 n. 103 (sulle diffusioni radio-televisive) e soddisfa alle esigenze dell'informazione e quindi alla ratio dell'art. 21 della Costituzione, integrando l'esimente dell'art. 51 c.p.
Solo la verità sostanziale della notizia diffusa rende pertanto non antigiuridica, nel concorso delle altre due condizioni della pertinenza e della continenza, l'eventuale lesione della reputazione altrui (Cass. Pen. 14 dicembre 1993; 27 aprile 1992, imp. Melchione; 6.6.88, imput. Beria d'Argentine).
Orbene, la verifica volta ad individuare la sussistenza nella fattispecie dei requisiti indicati conduce a conclusioni nettamente negative.
Giova rammentare in proposito il principio più volte affermato dalla Corte Regolatrice “...secondo il quale la valutazione del carattere diffamatorio o non di uno scritto o di altra manifestazione del pensiero si pone, per il giudice che deve adottarla, come valutazione di un fatto: falsificazione o manipolazione della considerazione che le qualità di una persona determinata hanno in un contesto sociale” (Cass., terza sez. civile, sent. 17.10.97).
Sempre in argomento, “...in tema di diffamazione con il mezzo della stampa, qualora il fatto non sia già stato valutato in sede penale,(13) il giudice civile deve svolgere un accertamento preordinato alla verifica dell'esistenza dei presupposti della responsabilità civile e, in definitiva, di un danno risarcibile, presupposto ravvisabile nella consapevole diffusione, a mezzo dell'organo di informazione, del fatto determinato, lesivo dell'onore e del prestigio del soggetto passivo, nel danno e nel discredito che ne è a quest'ultimo derivato, e nella esistenza di un nesso di adeguata causalità tra la condotta e l'evento indicati, con la conseguenza che l'esimente del diritto di cronaca sarà invocabile, da parte del giornalista, solo all'esito di un rigoroso controllo dell'attendibilità della fonte, della verità sostanziale dei fatti(14) oggetto della notizia della manifestazione del pensiero e delle idee secondo canoni deontologici di correttezza professionale e secondo criteri di non distorsione della notizia, attraverso la sua correlazione con altre informazioni ed affermazioni che risultino, non già del tutto gratuite od immaginarie, ma utili alla migliore comprensione dei fatti riportati...” (Cass. Sent. n. 9746/2000).
Assume tuttavia la Difesa degli appellanti che nel caso di specie la continenza, nei suoi due profili, sarebbe stata rispettata, perché il diritto di critica, per sua stessa natura, non soggiace ai limiti rigidi fissati in generale per la cronaca, sicchè la valutazione della continenza si attenua per lasciare spazio all'interpretazione soggettiva dei fatti raccontati per svolgere le censure che si vogliono esprimere. Tale tesi, sebbene accolta dal primo Giudice, non è condivisibile.
È ben vero che il diritto di critica, rispetto al diritto di cronaca, consente l'uso di un linguaggio più pungente ed incisivo; in ogni caso però le espressioni usate non devono trasmodare in affermazioni verbali gratuite, miranti, non a corroborare i fatti esposti, bensì solo ad ingenerare nel lettore un giudizio di disvalore sociale della persona.
Orbene, con riferimento all'operato del curatore, è innegabile che ne sia stata lesa la reputazione con espressioni ingiuriose (sopra riportate) che non si conciliano neppure con l'esercizio del diritto di critica: il quale, pur se svincolato dai rigidi parametri fissati dalla giurisprudenza di Legittimità per il diritto di cronaca, deve comunque essere mantenuto nei limiti della continenza formale e sostanziale.(15)
***
Non si possono consentire, senza trasmodare appunto nell'ingiuria gratuita, espressioni come “aberranti persecuzioni”(16) poste in essere sia dal giudice(17) che dal curatore nei confronti di “persone deboli e indifese”, esposte all'indiscriminato abuso del potere da parte appunto degli organi fallimentari; oppure giudizi 'tranchant' del tipo di quelli rivolti al G.D. e al curatore dalla Mottarelli e dal socio Sansi nel numero ''I GAZETIN' (mancanza in costoro di linearità, correttezza e coerenza).
L'accusa di 'affamare i falliti' (nel numero di dic. 2000) senza nessun vantaggio per il fallimento, o di operare al di fuori della legalità (genn.2001), prevaricando (“senza pensione i Gianoncelli. Così imparano a mettere in piazza... tutte le prevaricazioni subite?”: nov. 2000), rivolta sia al curatore sia al G.D., sono del pari infamanti per un organo cui è delegata una funzione fondamentale per l'equilibrato svolgimento della procedura fallimentare.
Né si legittima la manipolazione delle sequenze della procedura medesima effettuata ad arte dalla Mottarelli (commercialista dei Gianoncelli e quindi esperta dei relativi meccanismi), idonee come tali a creare confusione e malanimo nella generalità dei lettori, cui la Legge Fallimentare è completamente ignota.
La vendita all'asta di immobili oggetto del fallimento concreta una modalità tipica per tentare di guadagnare liquidi con cui soddisfare i creditori del fallimento. Ed il ribasso volta a volta stabilito del prezzo base è del pari previsto per rendere appetibili beni che diversamente rimarrebbero invenduti.
E che dire, infine, della pesante accusa indirizzata al curatore e al G.D.,(18) indicati come emblema di crudeltà assolutamente da evitare: “se un giorno i vostri figli o i figli dei vostri figli si trovassero in difficoltà e incontrassero sul loro cammino persone come voi, ne sareste felici?”.
Alla stregua delle svolte considerazioni, reputa la Corte che debba essere ritenuta la diffamazione ai danni di Cottica (unico a dolersene), perpetrata con la pubblicazione degli articoli predetti, non potendo riconoscersi agli appellanti la scriminante del diritto di cronaca e di critica da essi invocata.
In ordine al 'quantum' risarcitorio, precipuamente alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale in tema di danno morale (cfr. sent. Corte Cost. n. 233/03; sent. Corte di Cassazione, 3° sez. n. 4783/01; Sent. Tribunale Penale di Agrigento n. 191/01; sent. Tribunale penale di Locri n. 462/00; sent. Giudice di Pace di Torino 21.3.01 Lop/Ospedale Mauriziano di Lanzo Torinese), pare equo riconoscere al Cottica la somma di €. 10.000,00 in moneta attuale, con interessi legali dalla data del fatto (aprile 2001) al soddisfo.
3) L'accoglimento dell'appello incidentale comporta il rigetto di quello principale, non essendo configurabile la pretesa lite temeraria nell'ipotesi di ritenuta fondatezza della domanda attorea.
4) L'esito del giudizio di merito si riflette sul regolamento delle spese giudiziali, destinate a gravare sugli appellanti principali, soccombenti in toto. Tali spese si liquidano – quanto al primo grado – in complessivi EURO 6.320,00 di cui 620,00 per spese borsuali, 1.700.000(19) per diritti di procuratore, lire(20) 4.000,00 per onorari di avvocato, oltre accessori come per legge, e – quanto al secondo – in complessivi EURO 5.800,00 di cui 1.800,00 per diritti di procuratore, e 4.000.000(21) per onorari di avvocato, oltre accessori come per legge.
P.Q.M./ LA CORTE/ definitivamente pronunziando sulle contrapposte impugnazioni, in parziale riforma della sentenza n. 555/03 resa inter partes dal tribunale di Sondrio, ogni contraria domanda ed eccezione reietta, così provvede:
ACCERTA/ il carattere diffamatorio nei confronti di Marco Cottica degli articoli pubblicati sul settimanale “I GAZETIN”, nei mesi di settembre 2000/aprile 2001;
CONDANNA/ Vanna Mottarelli, Enea Sansi e la Cooperativa Laboratorio Sociale a r.l., in via tra loro solidale, a pagare al Cottica a titolo risarcitorio la somma di € 10.000,00 in moneta attuale, con interessi legali dalla data del fatto (aprile 2001) al soddisfo;
RIGETTA/ l'impugnazione principale;
CONDANNA/ Vanna Mottarelli, Enea Sansi e la Cooperativa Laboratorio Sociale a r.l. a rifondere al Cottica le spese del giudizio di merito, come sopra liquidate rispettivamente in complessivi EURO 6.320,00 e 5.800,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso a Milano, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte d'Appello, in data 25(22) giugno 2008.
IL PRESIDENTE/ F.to Giacomo Deodato
IL CONSIGLIERE ESTENSORE/ F.to Raffaella d'Antonio
(1) Così corretto a penna (con sigla illeggibile) dal precedente «??? luglio».
(2) Così nel testo; leggasi screditato.
(3) I lettori ricorderanno che quelle spese legali, unitamente a quelle che si dovettero sostenere per altre iniziative giudiziarie assunte dal Dr Cottica in sede penale, misero in grave difficoltà il giornale, tanto che dovette ricorrere a una straordinaria campagna di finanziamento tra i lettori.
(4) Rimane mistero perché venga imputata e condannata Vanna Mottarelli per articoli redatti e firmati dal Comitato Insieme per la Giustizia.
(5) Questa perentoria affermazione («come sarebbe stato suo preciso dovere»), come tutte le altre frasi non virgolettate inserite a seguire nell'«analitico esame degli scritti incriminati», non è contenuta nell'articolo del giornale.
(6) Che un titolo sia «in grassetto» è davvero una simpatica, oltre che ovviamente utile, annotazione...!
(7) Nell'articolo di settembre si trattava della vendita degli immobili, in questo si dà notizia delle pensioni tolte a Franco e Peppino Gianoncelli. Quest'ultimo, poi, è un redazionale (e infatti firmato «Red.»): viene anch'esso 'addebitato' a Vanna Mottarelli quale componente del Comitato Insieme per la Giustizia?
(8) La notizia era giunta a giornale ormai in stampa. La breve nota, pertanto, così si concludeva: «Per ragioni di spazio l’argomento, che è molto complesso ma di altrettanta inaudita gravità, verrà trattato in dettaglio nel prossimo numero».
(9) Così malamente riportato.
(10) Comitato territoriale Insieme per la Giustizia.
(11) Sarebbe stato d'obbligo perlomeno l'uso del plurale, visto che si tratta di: Osservatorio europeo sulla legalità; Italia dei Valori e Insieme per la Giustizia. L'articolo, come esplicitato nel sommario, è in realtà un appello/lettera aperta indirizzata da queste associazioni al Presidente e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio. Il giornale, infatti, la pubblica nello spazio “Lettere al Direttore”.
(12) Questa edizione (del giornale), in realtà, non esiste: si tratta di una nota-stampa diffusa, in data 09/12/2000, dalla Direzione editoriale per il lancio dell'edizione di dicembre 2000. Il Dr Cottica l'ha prodotta nell'atto di citazione, probabilmente presa da Internet. Non può in ogni caso riguardare la “diffamazione con il mezzo della stampa”.
(13) La sottolineatura è nostra: la condizione si è infatti verificata nella circostanza in parola, come anche i lettori ricorderanno (cfr. 'l Gazetin, aprile 2003, nelle “BREVI di cronaca giudiziaria”), ma la Corte d'Appello, benché documentato agli atti, sembra ignorarlo.
(14) Altra nostra sottolineatura: la verità storica è stata accertata dal Tribunale di Sondrio e non viene contestata né discussa in questa sentenza.
(15) Dopo l'«analitico esame degli scritti incriminati» e le sagge citazioni di giurisprudenza di legittimità e di merito (peccato solo vengano poi utilizzate all'esatto opposto del loro significato!), la Corte giunge alle conclusioni che determinano la sua decisione. Nel puzzle che segue, preceduto da una linea a tratteggio (per evidenziarne la “centralità”?), l'estensore fa un tutt'uno degli articoli, e di questi con la nota-stampa, costruendo intere nuove frasi di senso compiuto e riportando espressioni utilizzate negli articoli in ben diverso contesto e riferite a circostanze, tempi e soggetti diversi. Il lettore potrà facilmente rendersene conto comparando i brani sopra riportati alle lettere da a) ad f) e questo fuorviante assemblaggio.
(16) Da notare, come già ricordato, che stiamo parlando di un appello rivolto da tre associazioni al Presidente e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio. Toni e termini sono quelli tipici della comunicazione politica.
(17) Totalmente estraneo alla causa.
(18) L'espressione, com'è chiaro dal contesto da cui qui viene estratta, non è riferita né al curatore, né al giudice delegato, ma genericamente diretta a tutti coloro che sono investiti di pubblici poteri.
(19) Così nel testo. Si presume debba, per differenza, leggersi «1.700,00».
(20) Così nel testo. Si presume, sempre per differenza, debba intendersi «Euro».
(21) Così nel testo. Si presume debba leggersi «4.000,00».
(22) Inserito a penna e siglato «(Rd'A)».
Ampia documentazione sulla vicenda del “caso Gianoncelli”
è disponibile su internet al seguente indirizzo:
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